Il cambio di rotta arriva puntuale, la voglia di partire è tanta: andiamo a scoprire il Laos?
Sì, andiamo.
La nostra avventura nell’antico Muang Lan Xiang, il “Regno di un milione di elefanti”, inizia a Chiang Rai, ridente località del nord-est della Thailandia, ad un’ora di strada dal confine con il Laos.
Giusto il tempo di visitare il famosissimo mercato notturno, nel Paese che ha fatto dello street-food uno stile di vita, una piacevolissima tappa “tecnica” dettata dell’itinerario prescelto.



Il giorno dopo, infatti, siamo subito a sbrigare le formalità doganali, alla frontiera tra i due Paesi: il Mekong. Attraversarlo dalla Thailandia per entrare in Laos è come fare un salto nel passato: due mondi diversi, così vicini, ma allo stesso tempo così distanti.
La Madre di tutte le acque, come è chiamato il Mekong in Indocina, nasce, come la maggior parte dei grandi fiumi asiatici, in Tibet ed attraversa la provincia cinese dello Yunnan, il Myanmar, la Thailandia, il Laos, prima di entrare in Cambogia e da lì in Vietnam, dove sfocia nel Mar Cinese meridionale, formando un immenso delta.

Undicesimo fiume per lunghezza del pianeta, esso attraversa il Laos da nord a sud, costituendo per gran parte della sua lunghezza il confine naturale con Myanmar e Thailandia. Con la sua vasta rete di affluenti, garantisce un indispensabile apporto d’acqua al Paese, uno dei più poveri del mondo, unico Stato dell’Indocina privo di sbocco al mare.
Il cuore del nostro viaggio è la regione delle montagne nel nord del Laos, un’area sperduta e pressoché inaccessibile, incuneata tra i grandi, e per molti versi scomodi, Paesi confinanti: Myanmar, Cina e Vietnam.
Un’area vastissima, montuosa, coperta da foreste tropicali lussureggianti e solcata dal grande fiume e dalla sua rete di affluenti. Un’area priva di grandi centri urbani, ma densa di villaggi dai nomi esotici, lontani anni luce dagli stress occidentali, in cui le giornate sono regolate dal ciclo solare ed il centro della vita sono ancora i mercati: Muang Sing, Muang Xai, Muang Khua, Udomsin.
















Una regione abitata dal più alto e vario numero di minoranze etniche al mondo, popoli che per i più svariati motivi sono entrati in Laos dalla Birmania, dal Vietnam, dal Tibet, dalla Cina, dando vita ad un crogiuolo di razze unico ed affascinante: Lao, Lao Thai, Hmong, Miao, Akha, Yko, Yao. E poi le minoranze delle minoranze: Lao-Lu, Pa-La, Taidam. Mille popoli, uniti a formare un popolo solo.
Gruppi etnici tribali, di religione animista, fieri delle proprie tradizioni e costumi, che seguono ancora un ritmo di vita ancestrale, dominato dallo scorrere delle acque e dai monsoni.


















Da Muang Khua, al confine vietnamita, discendiamo il principale affluente del Mekong, il Nam Ou, con veloci lance a motore. Lo scenario che scorre davanti ai nostri occhi è fantastico, la vegetazione e le colline carsiche tipiche di questa parte del mondo formano spesso pareti di roccia verde incombenti, sotto le quali scivoliamo veloci, in un silenzio irreale rotto solo dai piccoli motori delle nostre barche.



Il pensiero di tutti va ad Apocalypse now e al colonnello Kurtz …. ed in effetti si percepiscono ancora nel Paese i devastanti effetti della “guerra americana”, come la chiamano da queste parti, la “Guerra segreta” durante la quale il Laos, costituendo un corridoio di fuga per i Viet Cong, fu oggetto per anni di pesanti bombardamenti aerei.


Arriviamo alla grotta di Pak Ou, alla confluenza tra i fiumi Nam Ou e Mekong. Una vasta grotta carsica naturale, un’esperienza mistica: centinaia di statue del Buddha, di tutte le forme e dimensioni, sono stipate in questo luogo, in cui la tradizione laotiana vuole che ogni devoto fedele si rechi prima di intraprendere un viaggio.





