Chi mi conosce sà quanto ami questa piccola cittadina calabrese affacciata sullo splendido Stretto di Messina.
Chi mi conosce sà bene che non perdo occasione per poter passeggiare tra le sue strette viuzze, osservando e godendo di tipici e profumati scorci che sanno di buono, sanno di familiarità.
Tutto è iniziato poco meno di vent’anni fà quando ho colto l’invito di un’ amico a voler condividere un grande spettacolo della natura nellle acque dello dello stretto.
Quei giorni non li dimenticherò mai, non mi sono innamorato solo del suo mare ma anche di... Scilla.
Ogni occasione oggi è buona per tornare e lasciarmi trasportare da ricordi e viste lasciando sulla mia scia di passaggio nuvole di click.
Ed eccomi, l’occasione di un bel week di fine Ottobre si realizza in un batter d’occhio.
Un Sabato e Domenica di competizioni fotosub in estemporanea.
Ma non sono in veste di agonista, ma interpellato in qualità di giurato, i pomeriggi saranno lunghi e intensi ma le mattine possono lasciarmi godere qualche ora di sano mare.
Parto di buon’ora, non intendo a prima mattina, ma in tarda serata.
Il viaggio è lungo e seppur a notte fonda ma con un pò di calmo distacco dall’alba, scorgo da lontano le luci dell’estrema punta Siciliana, quella che un tempo attraverso l’alto e illuminato pilone visibile sulla costa e il suo fratellino gemello in terra di Calabria portava la corrente elettrica sull’isola.
Il mare è una tavola e il silenzio regna assoluto.
Una leggera brezza spolvera questo tratto di costa immobile.
Questa è l’impressione, solo luci fisse, qualcuna intermittente, ma non intravedo movimento d’auto.
Comè possibile?
Una Sicilia che si gode questo attimo di rara bellezza, così voglio pensarla.

Continuo in auto per quei pochi chilometri che mi separano dalla pensione che tra un pò mi renderanno partecipe di un sogno assai più grande.
Ma Scilla è quì, sotto i miei occhi.
Quasi un grande presepe, fatta di luci e riflessi.
Case semplici, palazzi in salita quasi a voler arrivare ad eguagliare l’altezza della montagna che accoglie il castello appartenuto alla famiglia Ruffo di Scilla.
Tante le storie e legende su questa piccola cittadina di pescatori.
E, come quasi tutte le volte, entro in sordina riabituandomi a quell’atmosfera leggendo qualche riga sul libro di mitologia che sempre affascina e crea spazio ad una fantasia che ci riporta indietro nel tempo, Sirene tentatrici dal canto soave e Scilla, il mostro dalle sei teste canine e natura femminea......

"... disotto ha molti scoglietti l’uno dall’altro spaccati, sotto i quali sono assai luoghi cavernosi,
ove con gran furia entrandovi le procellose onde marine, impingendo ne’ detti scoglietti,
spezzandosi, ne sono cagionati gran rimbombi, strepiti, i quali uscendo da quegli stretti luoghi,
sono rappresentati all’orecchie de gli ascoltanti, a quisa de’ latrati de’ cani, ululati de’ lupi,
strida d’altri animali, La onde da queste voci, strida,
figure, pigliarono i poeti occasione di finger le volgar favole".

Il rombo del mio motore interrompe quel momento in frappensiero per riportarmi alla realtà, tra poche ore è l’alba.
In questi luoghi ma soprattutto in queste circostanze non riesco ad essere di comodo.
Il mattino seguente è rinfrescato da un leggero venticello e la giornata si prospetta generosa.
Via, è lo spunto per una mattutina camminata tra le piccole vie tutte affacciate sul mare di Chianalea.
Chianalea, l’altra faccia di Scilla, quella nascosta oltre la montagna, sotto il castello.
Quella più vera, quella più erosa da venti e mareggiate.
Un continuo aggiustare e proteggersi.
Quì, per tutto il periodo invernale il mare non è generoso.
Il vento forte e gelido si abbatte con fragorose onde sulle piccole piattaforme e i piani bassi di queste case.
Eppure resistono nel tempo, in vent’anni non sono cambiate.

Nel porto le spadare sono alla fonda.
Mi fermo ad osservarle.
La mia mente torna indietro nel tempo a qualche anno fà, stessa scena, ma vissuta.
Il capobarca arriva in silenzio, un passo lento, sguardo basso, quasi a non voler sprecare energie che gli saranno utili per quell’intera giornata di mare.
Sale a bordo camminando tra cime, secchi e gavitelli.
I suoi passi sono decisi, sicuri.
Si mette a proprio agio lasciando intravvedere sulla sua pelle il lento scorrere del tempo.
Alza gli occhi e mi sorride, quasi compiaciuto di essere protagonista della mia fantasia fotografica.
In realtà è quella semplice cordialità che li contraddistingue e che ho imparato a conoscere in tutti questi anni.
Inizia il suo mestiere...
Inizia un’altra giornata di lavoro in mare...

Di lì a poco il suo secondo, stessa scena ma questa volta sale, lì su, in alto, su quella torretta così sottile da farti sentire rè del mare.
E’ lui che guida, la sua vista rappresenta la giusta strada per una grande giornata di pesca.
Non si parlano, ma si lanciano sguardi.
Si capiscono e in brevissimo tempo li vedo allontanarsi, non una parola, non un grido, ma solo il rombo del motore.

Cammino e cammino ancora, per viuzze di Chianalea, l’altra faccia di Scilla, quella che con le prime note musicali udibili dalla strada, indica il pieno risveglio.
E’ ora di tornare.
E’ ora di godersi il mare.

I partecipanti sono già sulla spiaggia.
Tutti pronti con le loro attrezzature fotografiche.
Il tempo per un breve saluto e poi via.
Io posso fare con più comodo, ho ancora qualche ora a disposizione e questo ritardo non può che giovare lasciandomi nella speranza di un’immersione con una corrente poco generosa.
Quì la bellezza dei fondali si è resa tale soprattutto grazie alle impetuose correnti che per tutto l’anno smuovono queste acque limpide.
Immergersi nella corrente dello stretto è come nuotare in un fiume pieno di rapide.
Puoi andare avanti ma non tornare indietro.
Comè andata?

L’acqua è un cristallo e nei primi metri non si avverte la seppur minima scia di corrente.
Fortuna?
Il percorso è ancora lungo.
Quì il colore e gli incontri non mancano, anche quelli più semplici come questa medusa Cassiopea sono grandi emozioni.
Scendo più giù, oltre i 40 mt., è da questo punto in poi che lo stretto si rende generoso di colori e spettacolarità.

Grandi rami di Gorgonie Gialle, Rosse e Viola.
Composizioni floreali di grande pregio e bellezza.
Una natura viva, intensa.

Ovunque è colore, ovunque è bellezza.
A quella profondità non è tanto bello lasciarsi prendere dall’entusiasmo rendendosi fragili.
Non siamo nel nostro mondo, ma in un’altro, completamente diverso, che ci accoglie con tanta benevolenza ma con quella stessa è a chiederci rispetto e attenzione.
I minuti trascorrono veloci, il tempo, come anche l’aria a quella profondità sono limitati e, seppur a malincuore, inizio la lenta risalita.

Mi fermo in pochi metri d’acqua, quel tanto che mi permette di poter giocare a nascondino con l’esterno.
Una visione diversa, tra acqua e terra.
Un mondo che si apre per permettermi il passaggio nell’altro.
Una visione tra il distorto, e il reale.
Non sono ancora sicuro di voler interrompere questo gioco.
Mi lascio andare in veloci rotazioni a pelo d’acqua gustandomi attraverso l’obiettivo, come fosse un film, i giochi d’acqua.
Vortici colarati pieni di quel mondo terrestre riflesso sulla sua superficie.
Sono lì che giro, sono lì che scatto.
E’ lì, a pochi metri da mè, non è immbile ma avanza.
Non è la Cassiopea del buon inizio, ma rallenta, come a volermi dare qualche altra possibilità.

Il tempo di qualche scatto in superficie e poi giù, per quanto sono lente sanno anche farsi inseguire.
Tanti l’hanno soprannominata "l’astronave dei mari", ci credo, mi piace e modificando tempi e diaframmi inizio a dargli vita.
L’effetto è magico.
Mi entusiasma, mi piace.
Non riesco a staccare il dito dal pulsante di scatto.

Che gran cosa il digitale, se era ancora a pellicola il sogno sarebbe finito da un bel pezzo.
Sul fondo tutto ruota, è come essere su una di quelle giostre da bambino e godersi quel momento, felice e confuso, prima di ritornare alla primaria lucidità.

E mi ritrovo a guardare ancora attraverso quello spiraglio che divide quel momento umido, invaso dai primi brividi di freddo e voglia di un caldo tepore in un caldo e asciutto maglione di lana.
Sono ancora lì che gioco.
Guardo il mio passaggio attraverso l’obiettivo.

Non voglio uscire ma la realtà mi si apre con dolce prepotenza.
Sono alla fine di questo meraviglioso viaggio.
Non riesco a fermarmi e la custodia è quasi ormai del tutto fuori dal’acqua.

Un’ultimo scatto indietro.
Il mare mi ricopre.
Trattengo il fiato e scatto.
L’ultimo scatto rubato.
Il ricordo di quel mondo fatto di silenzio e colore.

Ho scritto queste parole tutte d’un fiato, lasciandomi trasportare dall’emozione che può suscitare un’immagine.
Quella stessa emozione che si prova nel momento dello scatto e che diventa più intensa mano mano che i ricordi diventano visibili.
Non mi creo emozione guardando le mie immagini, mi creo emozione fantasticando sulle bellezze che questo straordinario mondo sà offrire.
Scilla ha ancora tanto da dire, ... ma questa è un’altra storia.
Giuseppe Pignataro