

Ho realizzato il mio sogno, un viaggio in Africa. E’ stata un’esperienza entusiasmante, non mi ha deluso, addirittura al di sopra delle aspettative. L’Africa è così, ti travolge con i suoi colori, le sue atmosfere, i suoi odori, la sua gente, la sua natura; non esiste via di mezzo, o la ami o la odi. L’Africa la immaginavo come una sterminata ed assolata savana abitata da leoni, zebre, gnu, giraffe, elefanti, ghepardi, leopardi, rinoceronti, e chi più ne ha più ne metta, ma per fortuna c’è molto altro. Pensavo che incontrare la fauna selvaggia sarebbe stato fantastico, e così è stato, ma l’Africa è anche gente, tradizioni, cultura, popoli. Durante il safari siamo stati molto fortunati, abbiamo incontrato e siamo riusciti a fotografare molte specie animali, ma siamo anche riusciti ad incontrare alcune delle esclusive etnie dell’Africa orientale.



Mi rendo conto che un viaggio di quindici giorni non può darti una visione globale del paese che visiti, e questo, a maggior ragione, vale anche per un continente pieno di contrasti e contraddizioni come l’Africa. Le condizioni di vita in alcune località e per determinati ceti sono davvero molto distanti dai nostri standard, condizioni che nel mondo occidentalizzato non esiteremo a definire invivibili.

Arrivati nella spianata che ospita il lago Natron il viaggio prevedeva anche la risalita del vulcano che lo domina, l’Ol Doinjo Lengai. Avremmo dovuto passarci la notte in cima, ma causa temporali la via per la risalita era impraticabile e ci hanno sconsigliato di procedere. A questo punto nel programma di viaggio si apre un varco di un giorno e dobbiamo decidere come impiegarlo.



Una possibile opzione è quella di dedicarlo alle popolazioni che vivono nei dintorni del lago Eyasi, dopo una breve consultazione il gruppo decide di optare per questa soluzione.

Il lago Eyasi è dentro la scarpata della Rift Valley, è asciutto, ricco di incrostazioni di carbonato di sodio ed è l’area dove vivono le tribù dei Datoga e degli Hadzabe. Noi decidiamo di dedicarci per pima alla tribù degli Hadzabe il cui stile di vita assomiglia molto a quello dei Boscimani del Botswana: sono cacciatori-raccoglitori e vivono in capanne circolari fatte di arbusti itrecciati, si coprono con pelli di animali e cacciano con l’arco e le frecce. Si nutrono anche di radici, tuberi e frutti selvatici, conducendo uno stile di vita come si viveva 10.000 anni fa.



E’ mattina presto, ci troviamo in un campeggio nei pressi di Karatu, come tutte le mattine ci alziamo prima che sorga il sole, l’aria è piacevolmente fresca. Dopo una fugace colazione ci muoviamo in direzione lago Eyasi percorrendo una strada asfaltata prima ed una lunghissima pista di terra battuta dopo.
Lungo la strada ci fermiamo in un villaggio per prendere con noi una guida che ci accompagnerà presso la tribù degli Hadzabe. Il villaggio è costituito da quattro capanne e qualche baracca, su una delle quali però troneggia l’immancabile insegna della Coca-Cola. Riprendiamo la pista in terra battuta. Data la sua estensione facciamo in fretta ad uscire dal villaggio, da ora in avanti i colori della natura sembrano essersi ridotti a tre, il rosso fuoco della terra, l’azzurro del cielo terso con le sue sfumature turchesi ed il verde smeraldo della rigogliosa vegetazione che incombe sulla pista.
Ad un certo punto la pista finisce, bisogna lasciare i fuoristrada e proseguire a piedi tra la vegetazione. Ci facciamo strada a fatica in una fitta vegetazione di arbusti, all’improvviso dietro un muro di vegetazione, compare davanti ai nostri occhi il letto di un fiume in secca dalle sponde molto alte.



Sulle sponde della scarpata troviamo una famiglia della tribù degli Hadzabe.
Gli Hadzabe sono una piccolissima tribù, meno di 200 individui, e rappresentano l’estrema rappresentanza dei boscimani nell’Africa orientale. Sono uno dei più antichi popoli, con molta probabilità, secondo gli studiosi, i più antichi, gli antenati di tutta l’umanità. Sono una tribù di cacciatori/raccoglitori alcuni dei quali durante le battute di caccia comunicano ancora con l’originale linguaggio click, il loro modo di comunicare fatto di schiocchi, click e fischi (probabilmente il primo linguaggio adottato dall’uomo e particolarmente indicato durante la caccia per far si che gli animali non si insosppettiscano della presenza umana).




Vivono in piccole capanne fatte di rami e foglie, facili e veloci da costruire dal momento che sono nomadi, anche se, per forza di cose, la loro libertà di movimento è sempre più limitata. Il costante degradamento dell'ambiente e le sempre più pesanti limitazioni delle loro tradizionali zone di caccia, non solo sta distruggendo la loro cultura ma sta mettendo in serio rischio la loro stessa esistenza. A causa di questo degradamento ambientale sono sempre di più quelli che decidono di abbandonare questo stile di vita. La sopravvivenza di questa tribù e della loro cultura è oggi in serio pericolo. Di recente il governo della Tanzania aveva deciso di istituire nei loro territori delle riserve di caccia da dare in gestione a delle ricche società Arabe. Per fortuna grazie anche alla mobilitazione di molte associazioni umanitarie internazionali il pericolo sembra essere scampato.


Hanno una visione della creazione simile a quella della bibbia con la differenza che fu il sole a creare contemporaneamente dal fango l'uomo e la donna. Non credono invece nell'aldilà, pensano che quando si muore, si muore e basta, non esiste più niente. Quando un Hadzabe muore, il suo corpo viene messo nella savana accanto ad un animale sacrificato. In questo modo le iene divoreranno entrambi i cadaveri. Per questo motivo le iene sono l'unico animale che non viene cacciato, perché cacciare e mangiare una iena ritengono equivalga a cannibalismo.
Noi li troviamo intenti nelle loro faccende quotidiane. Le donne stanno da parte mentre accudiscono i bambini e preparano e puliscono tuberi e frutta raccolta nella boscaglia. Alcuni uomini stavano ancora finendo di preparare le frecce per la caccia, mentre un altro gruppo è già partito di mattina presto. Di colpo ho la sensazione di essere stato catapultato indietro di migliaia di anni, qui la natura regna sovrana e tutto, abitanti compresi, seguono le sue regole ed i suoi ritmi.



La nostra guida ci invita a seguire un adulto con due ragazzini che ci accompagneranno dal gruppo che è a caccia. Scendiamo il ripido e scivoloso pendio che forma una delle due sponde del fiume. Il letto del fiume è un tappeto rosso, c’è pochissima acqua che scorre ma il suolo ne è intriso, in alcuni punti ci si sprofonda. Loro sono abituati a camminare in queste condizioni ma noi facciamo molta fatica.
Camminiamo per un pò nel letto del fiume, poi risaliamo l’altra sponda e continuiamo a risalire una ripida collina. Camminiamo su un fondo sconnesso in mezzo ad un groviglio di vegetazione spinosa. Bisogna stare spesso bassi per evitare i rami più alti che a volte come cilici rischiano di colpirti al volto.


Ad un certo punto vediamo il cacciatore gettarsi verso un cespuglio. Ci indica quella che sembra una specie di iguana. La guida ci spiega che questo animale non lo cacciano per mangiare ma solo quando hanno bisogno di curarsi. Quando hanno qualche dolore vanno in cerca di questo lucertolone, lo uccidono, ne prelevano il grasso dal lato del corpo da cui hanno il dolore e se lo spargono sulla parte dolorante.
In quanto abili cacciatori, con le loro frecce, gli Hadzabe, cacciano giraffe, antilopi, ippopotami, leopardi e perfino leoni. Il veleno fa effetto dopo circa 15 minuti. Una volta colpito, l'animale viene pedinato seguendone le tracce, accade anche che avendone perso le tracce, gli Hadzabe osservano il volo degli avvoltoi per individuare la preda. A volte quando trovano una carcassa di un animale morto, mandano via gli animali spazzini e rompono le ossa per cibarsi del midollo. Gran parte della carne cacciata è portata al campo dove viene ripartita tra le donne in parti uguali. Capita spesso anche che parte del bottino venga mangiato sul posto. Se la preda è troppo grande per essere trasportata, fanno arrivare sul posto tutto il gruppo familiare e si stabiliscono lì finchè non è stata consumata tutta la preda. Mangiano con avidità ed a qualsiasi orario. La loro economia è rimasta ferma alla caccia ed alla raccolta, nonostante questo però cacciano e raccolgono solo quanto gli necessita, riuscendo a garantire alla natura la capacità di rigenerarsi.



Proseguiamo la risalita della collina ed in prossimità di un grosso baobab ci fermiamo. Notiamo una serie di pioli di legno conficcati nella corteccia dell’albero. Vengono apposti dagli Hadzabe in modo da formare tanti pioli da usare come scala allo scopo di raggiungere un alveare scovato all’interno di una cavità dell’albero. Sono molto ghiotti di miele ma quando lo raccolgono non svuotano mai completamente l’alveare, dopo aver raccolto una quantità di miele che ritengono opportuna, richiudono il varco che si sono aperti nella corteccia in modo che le api si sentano al sicuro e ritornino a formare l’alveare. In questo modo si assicurano la riserva di miele.
Ci fermiamo vicino un cespuglio con delle bacche arancioni. Il cacciatore inizia a cibarsene e ci invita a fare altrettanto. Le mangiamo anche noi e non hanno uno cattivo sapore, lasciano solo la bocca un pò impastata.


Ad un certo punto l’uomo si ferma e attraverso una serie di schiocchi e fischi comunica con l’altro gruppo di cacciatori. Cominciamo a scendere verso il letto del fiume dove poi ci riuniamo con gli altri cacciatori. Gli Hadzabe si fermano per bere. Scavano una buca nella sabbia del letto del fiume, aspettano un attimo che l’acqua decanti e se la bevono. Con nostro rammarico la guida ci comunica che la caccia è finita, senza accorgercene sono passate quasi cinque ore, il tempo è volato ed anche se non abbiamo assistito alla cattura di una preda, l’esperienza di aver vissuto una mattinata con questa gente è stata molto educativa. A malincuore lasciamo questa primitiva ma pacifica gente, ritorniamo al nostro campeggio per prepararci alla visita, il giorno dopo, alla tribù dei Datoga, ma questa è un'altra storia.
Per questa escursione ho preferito portare con me un corredo leggero per prediligere la versatilità, avevo con me la D300 con MB-D10, il Nikkor 18-70 ed il Nikkor 70-300 VR.