Forse questo articolo puó aiutarci nella comprensione del concetto:
La pellicola e il sensore non sono in grado di registrare correttamente tutta la gamma tonale percepibile dall'occhio umano. In condizioni di forte contrasto le aree più chiare e le aree più scure non vengono distinte. Le zone estreme della scala tonale risultano illeggibili: nelle ombre non ci sono dettagli mentre le alte luci vengono bruciate nel bianco più bianco. Per bene che vada la capacità di registrare correttamente la gamma tonale non supera i quattro o cinque diaframmi. Perciò esiste un intervallo ben preciso entro il quale l'elemento sensibile è in grado di restituire in modo corretto i rapporti tonali. Questo intervallo, che potremmo anche definire come "margine di errore" è la latitudine di posa. Quanto maggiore sarà la latitudine di posa della pellicola, tanto maggiore sarà la sua capacità di produrre immagini soddisfacenti. Le pellicole negative, sia a colori che in bianco e nero, offrono generalmente una latitudine sufficiente per permettere al fotografo un certo margine di errore. Le diapositive, invece, hanno una latitudine inferiore.
I sensori, in teoria, hanno una latitudine di posa abbastanza simile a quella della pellicola. Tuttavia nel digitale esiste un modo per aumentare la "gamma dinamica" dell'immagine, cioè il rapporto tra la luce più forte e quella più debole catturabile dal supporto fotosensibile. Molti suggeriscono di comportarsi nella fotografia digitale come ci si comporta con le diapositive, cioè sottoesporre leggermente in fase di ripresa per evitare di "bucare" le alte luci. Così facendo, tuttavia, si penalizzano fortemente i dettagli in ombra. Bisogna invece comportarsi come con le pellicole negative, cioè sovresporre leggermente (ovviamente tutto dipende dal tipo di soggetto e sarà solo l'esperienza a suggerire di quanto sovresporre caso per caso), pur senza andare a saturare le alte luci. Controllarlo è facile: dopo avere scattato la foto si verifica l'andamento dell'istogramma sul display della reflex. Se si vede una riga chiara verticale che sale fino in cima al grafico sulla destra, vuol dire che ci sono luci bruciate. In questo caso, se non si vogliono le luci bruciate, occorre rifare la foto in leggera sottoesposizione.
Ci sono ovviamente casi in cui le luci bruciate costituiscono un elemento determinante della composizione. Fotografando di notte i lampioni posono entrare nell'inquadratura; oppure fotografando controsole si può decidere di includere il sole nella scena: in queste situazioni è normale che le luci dei lampioni e la luce del sole risultino bruciate, cioè bianche e senza dettaglio. Lo spettatore si aspetta di vedere un sole accecante. Perciò in questi casi è inutile farsi eccessivi problemi. Il problema nasce quando si perdono i dettagli sulla pelle di una modella illuminata dal sole, sulla pelliccia di un cane, su un muro bianco o sul cielo.
Comunque, per riprendere il nostro discorso, nel digitale bisogna, come dicono gli autori americani, "expose to the right", cioè esporre a destra. La "destra" non è altro che la parte destra dell'istogramma, ed è lì che deve stare la maggior parte delle informazioni. Poi, in fase di elaborazione del RAW, occorrerà abbassare il valore dell'esposizione. In questo modo si avrà una gamma dinamica più ampia che non sottoesponendo in fase di ripresa. E' un po' come applicare – anche nel digitale – il sistema zonale di Ansel Adams. Provare per credere: si fotografi due volte lo stesso soggetto nelle stesse condizioni di luce. Si realizzi la prima immagine sottoesponendo in fase di ripresa e poi aumentando l'esposizione in fase di trattamento del RAW; la seconda immagine "esponendo a destra", cioè sovraesponendo leggermente in ripresa e decrementando l'esposizione in postproduzione. Si otterranno due istogrammi decisamente diversi tra loro: il primo avrà una base visibilmente più stretta del secondo, indice inequivocabile di una gamma dinamica meno estesa.
Testo ripreso da Fotografia Nadir Magazine:
http://www.nadir.it/tecnica/ESPORRE/esporre.htm