Una cerimonia molto famosa degli Hamer è il "Salto del Toro", il rito di passaggio dei maschi all'età adulta.
Non sempre si riesce a partecipare come spettatori, ma con un lungo giro di contatti siamo riusciti a sapere che in un villaggio a circa 40 km da noi si sarebbe tenuto questo rituale in un piccolo villaggio Benna (molto simili agli Hamer).
Tengo a precisare che 40 km su queste piste vuol dire circa 1 ora e mezza di percorrenza.
Si tratta di una cerimonia lunghissima, che dura quasi tutta la giornata e si conclude dopo 2 giorni con balli, canti e.... ubriacatura generale.
Cercherò si spiegarla in modo sintetico:
Come detto si tratta di un rito di iniziazione lungo e complesso.
In uno spiazzo libero dai recinti degli animali e dalle capanne, alcune donne iniziano a muoversi in circolo, una dietro l’altra, suonando con un flauto e alcune trombette in metallo. Alle gambe portano dei campanelli in metallo (di nome “warawara”) che si stringono ai polpacci con alcune cinghiette in pelle di capra, emettendo piacevoli suoni ad ogni passo. In tal modo richiamano l’attenzione di tutti i componenti del villaggio ed anche dei villaggi circostanti, per gli imminenti festeggiamenti.
All’interno di un recinto un uomo anziano, insieme ad un bambino completamente nudo, mungono con sapienza le vacche riempiendo le zucche che sono state donate al ragazzo, che oggi affronterà la prova del salto dei tori.
Nei giorni che hanno preceduto la cerimonia, il giovane Hamer aveva inviato a tutti coloro che avrebbero partecipato alla festa un filo d’erba secca annodato con un numero di nodi corrispondenti ai giorni che mancavano alla prova. Ogni invitato avrebbe sciolto i nodi sino al giorno della celebrazione.
Da un altro lato del villaggio, dentro un enorme fusto di metallo sta bollendo l’acqua, a cui avrebbero aggiunto la farina di sorgo ed altri cereali (grano, orzo, frumento e luppolo) per realizzare il “bordé”, una birra artigianale che bevono soprattutto durante i festeggiamenti.
Molti, sia uomini che donne, non hanno gli incisivi inferiori: intorno ai 15 anni la “cagica bulé”, una specie di dentista del villaggio, pratica l’estrazione oltre che per fini estetici, anche per evitare le complicanze del tetano.
L’abbigliamento delle donne è composto da tre diversi indumenti in pelle: il “kasci” (la parte anteriore sfilabile dal collo che lascia scoperta la schiena), il “schikiniè” (la parte frontale della gonna) e il “pallanti” (la parte posteriore della gonna). Sono tutti impreziositi dalle piccole conchiglie cipree, chiamate “chibò”. Sulle loro braccia e sulle caviglie sfoggiano con orgoglio grossi bracciali in ottone o nichel di nome “gau”.
Gli uomini utilizzano un gonnellino colorato in tessuto che si stringono in vita mediante il “kalascì” (la famosa cartuccera il cui nome richiama quello del fucile), a volte sormontato da una casacca. Tutti fanno bella mostra di numerosi bracciali ed orecchini, oltre a scarificazioni sul corpo che possono consistere in semplici segni decorativi o simboli distintivi del loro valore e coraggio.
Le cicatrici, per gli Hamer (come per gran parte delle popolazioni della Bassa Valle dell’Omo), sono motivo di orgoglio e testimoniano fedeltà, forza, coraggio, valore; spesso sono i segni di un’avvenuta iniziazione.
Le scarificazioni presenti sul ventre e sulle braccia delle donne sono invece semplici decorazioni a fini estetici.
Le cicatrici che invece hanno sulla schiena, e di cui vanno molto fiere, si chiamano sono i segni tangibili della devozione e dell’affetto verso il ragazzo che dovrà passare dall’adolescenza all’età adulta attraverso il superamento della prova del salto dei tori.
Le danze delle donne continuano sino al momento del pranzo: sotto un grande albero si siedono in circolo passandosi a turno la zucca colma del “bordè” (la birra) e mangiando con le mani da una ciotola comune.
Dopo questo frugale pasto gli uomini si allontanano per disporsi in uno spiazzo dove, seduti sui loro sgabelli in legno, si disegnano il corpo con argilla bianca, sistemandosi piume di struzzo nei capelli unti in precedenza con burro ed argilla.
Intanto il ragazzo, seguito da tutti gli altri componenti del villaggio, si avvia verso il luogo sacro. Qui avrà inizio la vera e propria cerimonia che si aprirà con il rito della fustigazione, invocata a gran voce dalle parenti di ragazzo.
I Maz (giovani che faranno da padrini alla cerimonia) si distribuiscono alcune fascine, tagliate da un albero particolare che non dovrebbe causare infezioni alle ferite, preparandosi tra suoni di trombe, danze, polvere e sudore.
Cresce esponenzialmente l'eccitazione e il fermento.
Le donne vicine alla famiglia del candidato si fanno spalmare dalle più anziane del burro sulla schiena, sulle spalle e sulle braccia: servirà ad attutire i colpi delle verghe sulla loro pelle.
Tra un frastuono di suoni, voci, battiti di mani, incitamenti ed un sole rovente, le donne chiedono con insistenza di essere frustate, mentre ballano e saltano di fronte ai Maz, tenendo alzato il braccio destro. E se loro non fossero disposti a farlo, li strattonano, li inseguono, li scherniscono per convirceli a frustarle.
La schiena, le spalle, le braccia e talvolta anche il seno, mostrano profonde ferite sanguinanti che si trasformeranno in cicatrici perenni: saranno considerate un segno di devozione e di attaccamento al loro parente, il “naala” (cioè il giovane) che, superata la prova, diventerà “daala” (adulto) e potrà fidanzarsi e sposarsi. Inoltre, con queste cicatrici, le donne vanteranno un “credito” nei confronti del futuro Maz: lui dovrà badare alle loro necessità in caso di difficoltà, dovrà difenderle in caso di pericolo, dovrà proteggerle, sempre.
Agli occhi di noi occidentali questo rito della fustigazione può apparire arcaico, cruento, senza alcun fondamento logico: ma occorre riflettere sul fatto che il nostro modo di pensare e di vivere è lontanissimo dalla loro cultura e dalle loro tradizioni. Al contrario, secondo me, dovremmo accettare di buon grado l’importanza ed il profondo significato che rivestono queste pratiche nella loro esistenza, evitando di esprimere giudizi avventati o scandalizzati. Per loro queste usanze sono passaggi fondamentali nella loro stessa vita perchè garantiscono l’equilibrio sociale dell’intera comunità. Questi riti donano, al soggetto che vi si sottopone, una nuova identità sociale e personale. Significa per loro scalare la struttura sociale del villaggio, in modo da appropriarsi di un prestigio che prima non possedevano.
Terminate le fustigazioni, ripetute più e più volte, le donne tornano a danzare e girare in tondo tra i suoni acuti delle trombette ed il tintinnio dei campanelli.
Gli uomini si appartano, sedendosi sotto alcuni alberi, per praticare un rito propiziatorio: il ragazzo passa loro un piccolo bastone di legno intagliato con la punta arrotondata (un chiaro simbolo fallico), che i Maz stringono tra un fascio di rami, mentre gli anziani vi poggiano sopra quattro bracciali di metallo. Dietro ordine degli stessi anziani, i Maz sollevano di scatto verso l’alto i rami lasciando cadere in terra i bracciali. Gesto ripetuto per quattro volte, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, in modo che la buona fortuna segua il “naala” ovunque.
A questo punto alcuni ”padrini” scelgono tra i buoi, separandoli dalla mandria, quelli più adatti alla cerimonia e li immobilizzano, prendendoli dalle corna e dalla coda. I prescelti, in numero di sette, vengono messi in fila uno accanto all’altro ed anche se a fatica cercano di tenerli fermi ed allineati.
Le donne aumentano il ritmo delle danze e dei salti, accompagnate dai suoni di tromba sempre più acuti.
Ci siamo quasi, il “naala” (il giovane), completamente nudo e con una sottile corda vegetale incrociata attorno al petto (simbolo dell’infanzia che sta abbandonando), è pronto per cimentarsi nella prova.
I Maz danno il segnale per far partire il ragazzo che, dopo una breve rincorsa, salta sul primo bue e, in equilibrio precario, balza sul dorso degli altri animali, sostenuto e sorretto dai padrini che lo incitano, sino a completare la prova, che ripeterà per quattro volte consecutive.
Al termine della cerimonia, tra la gioia degli amici e dei parenti, tutti i partecipanti escono dallo spiazzo per rientrare al villaggio. Qui i festeggiamenti continueranno per due giorni e due notti.
Il ragazzo ormai adulto avrà a disposizione trenta giorni per trovare moglie: girerà nel suo villaggio e nei villaggi vicini indossando, di lato al gonnellino, il simbolo fallico in legno chiamato (segno distintivo di colui che abbia superato la prova del salto dei tori), mostrando a tutti il suo nuovo status di “daala”, cioè di adulto.
Anziana suona una trombetta per richiamare l'atenzione
Ingrandimento full detail : 1 MBDonna Benna
Ingrandimento full detail : 679.8 KBCi si passa e si beve la "birra" artigianale
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Ingrandimento full detail : 661.2 KBDonna Benna
Ingrandimento full detail : 1 MBDonna benna con la trombetta/richiamo
Ingrandimento full detail : 703.2 KBDonna benna
Ingrandimento full detail : 1.2 MBSonagli appesi ai polpacci
Ingrandimento full detail : 1.3 MBRagazze Benna durante la cerimonia
Ingrandimento full detail : 612.1 KBUomini armati di Kalasnikov
Ingrandimento full detail : 727.3 KBChi ancora non ha il fucile si arrangia come può
Ingrandimento full detail : 1.1 MBCopricapo tipico maschile
Ingrandimento full detail : 405.2 KBUomo
Ingrandimento full detail : 416.9 KBI segni lasciati dalle frustate degli uomini
Ingrandimento full detail : 558.2 KBUomo
Ingrandimento full detail : 537.1 KBRagazza
Ingrandimento full detail : 1.2 MBUomini danzano freneticamente poco prima del salto del toro
Ingrandimento full detail : 600.7 KBIl ragazzo è pronto e sta per compiere il rito di passaggio del "Salto del toro"
Ingrandimento full detail : 850.3 KBIl momento clou!
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