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Stidy
Buongiorno a tutti voi.
E' da un po' che meditavo se aspettare di aver pronte tutte le foto e poi aprire questo argomento in una botta unica o se cominciare a metterle un po' per volta.

Alla fine ho deciso per una sorta di... racconto a puntate anche perché con tutta probabilità sarei andato troppo in la nel tempo...

Questa estate sono riuscito ad organizzare un viaggio che sognavo da molto tempo, affascinato dalle immagini di Gianni Giansanti e che, grazie ad un caro amico, conoscitore profondo dell'Africa e in particolare di queste zone, sono riuscito a realizzare.

Si tratta di un viaggio che tocca alcune tra i principali gruppi etnici in Kenia e in Etiopia, in particolare la valle del fiume Omo.
Un percorso a ritroso nel tempo, quasi alle origini dell'uomo.

L'organizzazione è stata fatta in autonomia, noleggiando 3 fuoristrada a Nairobi e dormendo prevalentemente in tenda. A bordo con noi un cuoco e un meccanico, e per la parte in Etiopia abbiamo optato per una guida che ci facesse da interprete e si occupasse degli aspetti burocratici.

Gruppi etnici incontrati in Kenia:
Rendille
Turkana
El Molo
Samburu

Gruppi etnici incontrati in Etiopia:
Konso
Dassanech
Hamer
Mursi
Arbore
Borana
Dorze

Parchi visitati in Kenia:
Nakuru National Park
Samburu National Park

questo il percorso di massima:

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Comincio con un paio di immagini introduttive, poi col tempo inserirò altre foto e relative descrizioni.
Ogni commento e critica sono sempre graditi.

Dopo 4 giorni di viaggio da Nairobi stiamo percorrendo la pista che da South Horr porta al lago Turkana.

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La prima Etnia che inontriamo sono i Rendille.
Vivono tra South Horr e il lago Turkana e vivono di pastorizia.

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Alex20
Tre scatti molto belli, non mi convince il taglio dell'ultima.... forse avrei mostrato anche le spalle !!!

Alex
Lady O

Bhè insomma le immagini promettono qualcosa di molto interessante,ma averne postate solo 3 mi sembra che limiti un tantino anche solo l'interessamento di questa prima uscita,per cui io non aspetterei tanto a pubblicarne altre.

per quanto riguarda la terza foto,a mio avviso guadagnerebbe molto inquadrando solo il viso del ragazzo e parte del collare che indossa, cioè farei in modo che non si vedesse la canottiera che,pur essendo quello che indossava,fotograficamente stona con il contesto etnico che emana dallo scatto;non me ne volere,ma è quello che avrei fatto io se fosse stata una mia foto.

Aspetto le altre...non farci aspettare troppo!

Ornella
vvtyise@tin.it
tre immagini molto belle di un viaggio che si preannuncia interessantissimo!
PrOzZy
Carini i ritratti, mi piace un sacco la prima il taglio e il colore degli alberi li fa sembrare disegnati!
macromicro
Dopo 2 mesi, niente ulteriori scatti? sono curioso ed impaziente
Stidy
Chiedo umilmente perdono per questa lunga latitanza.
Ho finalmente finito di sistemare le foto del viaggio, poi un piccolo incidente e molto lavoro mi hanno tenuto lontano dal forum.
Adesso riprendo con un po' di immagini e grazie per le prime visite e commenti.

Lady O... concordo in pieno e l'ho già modificata.
Stidy
Prima ho inserito una foto per sbaglio....

Qui siamo al Parco Nazionale del lago Nakuru, in Kenia.
Una piccola oasi ricchissima di animali, dove per la prima volta sono riuscito a vedere un rinoceronte bianco a pochi metri dalla macchina.
Molti fenicotteri e pellicani, ma anche antilopi, bufali, zebre e tanti, tanti babbuini che rubano di tutto ai campeggiatori poco attenti.

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macromicro
Ho aperto un paio di immagini ed ho visto che hai usato valori ISO abbastanza elevati; le ragioni di questa scelta?
WilliamDPS
Gran bel viaggio,
Molto belle anche le immagini
Ciao William
Stidy
Grazie per i commenti.

Questi alcuni dei motivi per gli iso alti:
La giornata non era soesso il massimo e a volte il cielo coperto prendeva il sopravvento.
Avevo il 70-200 2.8 duplicato con montato il TC20 III per portarlo a 400.
Soprattutto per i volatili volevo avere un tempo rapido di sicurezza.

Motivo per cui queste immagini sono tutte a 800 ISO tranne il babbuino (1600 ISO) perché in zona d'ombra e quasi a sera.
Stidy
Dal Lago Nakuru riprendiamo il viaggio verso nord, per giungere al lago Turkana.
Paesaggi splendidi, con una luce particolare che si alternava a cieli coperti e carichi di pioggia.
Arriveremo al Turkana dopo 2 giorni e mezzo di viaggio che in alcuni tratti ha messo a dura prova mezzi e equipaggi per l'incessante pioggia e una pista massacrante e scivolosissima.
Il secondo giorno in particolare dovevamo raggiungere un passo a 2500 metri e per fare circa 150 km abbiamo impiegato 11 ore.
In cima al passo c'era un pulmino locale fermo dal giorno prima perché impantanato.
Una buona occasione per qualche foto...

Lago Baringo
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Lungo la pista da Maralal a South Horr
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Ragazzini lungo la pista
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Il pulmino finalmente, con l'aiuto dei passeggeri riesce a proseguire
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Paesaggio nella Rift Valley
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Il lago Turkana appare finalmente in tutto il suo splendore...

Il Lago Turkana (ex Lago Rodolfo) è il più grande lago permanente in luogo desertico ed è anche il più grande lago alcalino del mondo.
Situato nella Rift Valley, nel nord-ovest del Kenya, ha una superficie di 6405 km² e una lunghezza in linea d'aria di circa 300 km. Si trova quasi completamente all'interno dei confini del Kenya e solo una piccola parte settentrionale, in corrispondenza del delta del fiume Omo, si trova in Etiopia.
Essendo un bacino chiuso, tutta l'acqua che vi si versa evapora per effetto delle alte temperature del luogo.
Il suo livello sta lentamente calando, non solo a causa della sicità, ma anche per una serie di sbarramenti costruiti dal governo etiope sul fiume Omo per la generazione di corrente elettrica.
L'ultimo sbarramento (Gibe III) è stato terminato di recente e l'invaso sarà riempito entro il 2012.
Questo porterà danni al delicato ecosistema di tutta la valle dell'Omo in Etiopia, dove molti popoli vivono lungo le sue sponde e beneficiano delle periodiche piene portatrici di limo e fertilità e alle popolazioni che vivono lungo le sponde del lago Turkana.

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Ragazzini posano senza che glielo abbia chiesto per una foto al tramonto
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Tramonto sul Turkana
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Stidy
Questa vasta ed inospitale zona del Kenia è nota, insieme ad alla Dancalia e a Olduvai in Tanzania per i numerosi ritrovamenti fossili dei primi ominidi, nostri primi antenati.
Oggi le etnie che popolano la regione sono principalmente i Turkana e ciò che resta degli El Molo.

Gli ElMolo sono considerati una delle tribù più piccole dell'intera Africa. Decimati dalle altre tribù, le poche centinaia di unità rimaste si trovano prevalentemente nella parte meridionale del lago Turkana, nei pressi di Loyangalani.
Questa un’etnia, giunta nel XVI sec. probabilmente al seguito degli attacchi bantu alle tribù somale ma che ama riconoscersi nella tribù Maasai cui sostiene di aver appartenuto fino a che, in uno scontro fra clan, non perse il bestiame e dovette adattarsi a vivere di pesca.
Sono oggi degli abili pescatori; si addentrano nelle acque infestate da coccodrilli e ippopotami in equilibrio su zattere costruite con tre leggeri tronchetti di palma dom legati insieme in modo primitivo. Si dice che siano ghiotti di carne di coccodrillo e di tartaruga. Dipendono economicamente dai loro arpioni e dalle fiocine, dalle reti in fibra di palma dom e dalle nasse in rametti d’acacia, prova ne è che i gioielli tradizionali sono fatti di spine, lische e ossa dorsali di pesce.

Purtroppo oggi gli ElMolo si stanno mescolando ad altre tribù, e pochi parlano la lingua degli antenati, mentre le donne sono le uniche a tentare di salvare la propria identità e non rinunciano al perizoma in cordicine ricavate dalla fibra della palma dom che inodossano ancora per andare a pescare. Gli uomini, poi, vengono spesso confusi con Turkana e Suk per via dell’acconciatura, anche questa copiata.

Donna El Molo
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Bambini El Molo
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Anziano El Molo
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Bambino El MoloIPB Immagine Ingrandimento full detail : 2.6 MB

Anziano El Molo
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I Turkana sono invece il gruppo più numeroso e contano circa circa 450.000 individui. Parlano una lingua appartenente al gruppo delle lingue nilotiche orientali, nota come lingua turkana.
Chiamano sé stessi il popolo del bue grigio, in riferimento agli zebù, il cui addomesticamento svolse un ruolo importante nella storia dei Turkana. La pastorizia ha una posizione preminente e allevano soprattutto capre, cammelli, asini e pecore. Oltre che per la produzione di carne e di latte, il bestiame viene anche impiegato come merce di scambio. È infatti usato per il pagamento del tributo che la famiglia del futuro marito paga a quella della sposa durante le contrattazioni che precedono un matrimonio.
I Turkana sono poligami, e il numero di mogli che un uomo può procurarsi dipende dalla quantità di capi di bestiame che possiede.
La pesca, un tempo considerata un tabù, oggi sta cominciando lentamente a diffondersi in seguito all'azione di programmi di sviluppo coordinati dal governo kenyota o da ONG europee.

Sono noti anche per i cestini intrecciati e per il grande numero di collane indossate dalle donne che rappresenta la ricchezza della famiglia, per cui il loro numero può essere anche notevole.
La religione tradizionale era animista. Nella zona sono presenti comunità cattoliche per cui i Turkana stanno recentemente conoscendo una progressiva conversione al Cristianesimo.

Alcune donne Turkana
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macromicro
Bel racconto esplicativo, foto interessantissime. Come hai raccolto queste notizie?
Stidy
Ciao Macromicro,
diciamo che mi ero documentato prima e durante il viaggio, poi ho delle guide della Polaris (eccellenti per quelle zone) e... internet è una miniera di informazioni, Wikipedia su tutte....
;-)

Grazie per essere passato e per il tuo commento.

Stefano
wabe47
Complimenti, bellissimo viaggio e bellissime foto.
Stidy
Grazie del passaggio e del tuo commento Walter.

Dal Turkana ripartiamo per giungere in serata a Marsabit, ultimo centro abitato prima della frontiera con l'Etiopia, 250 km più a nord.
La raggiungeremo attraversando la bianca distesa del Chalbi Desert, circa 200 km di fondo compatto e perfettamente liscio che diventa bianco per l'alta concentrazione di sale.
E' percorribile unicamente col bel tempo e dopo alcuni giorni senza pioggia, altrimenti occorre fare un lungo giro per evitare di rimanerci impantanati.

Verso il Chalbi Desert
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Chalbi Desert
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L'ingresso in Etiopia presso la frontiera di Moyale non presenta problemi e dopo circa un'ora siamo già in marcia verso El Sod, nel territorio Borana e i pozzi cantanti.

El Sod è uno straordinario cratere che sprofonda per oltre 100 metri nelle viscere della terra per terminare in un lago vulcanico di colore nero come la pece.
E' un lago salato e gli uomini Borana, seminudi, e con l'aiuto di soli bastoni, estraggono il sale nero e fangoso, e molto pregiato.

Gli uomini sono aiutati, per il trasporto del sale in superficie dagli asini, sui cui dorsi viene sistemato il sale appena estratto.
Osservare dall'alto il lago nero, che sembra una chiazza di petrolio, è affascinante, ma immergersi in esso per lavorare tutto il giorno all'estrazione del sale rovina la pelle in modo impressionante.

La discesa verso il lago dura circa un'ora ma la salita può impiegare anche tre ore, non tanto per il percorso accidentato quanto per la temperatura torrida e l'umidità che si raccolgono nel cratere.

El Sod
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Bambini sull'orlo del cratere
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Una partita a biliardo improvvisata nel vicino villaggio...
In tutta l'Etiopia che abbiamo visto si trovano per strada biliardi, biliardini e tavoli da ping pong.
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Siamo come detto nel territorio dei Borana, un gruppo etnico del Kenya settentrionale e dell'Etiopia meridionale.
Sono tradizionalmente nomadi e allevatori di zebù, cammelli, capre e percore, ma recentemente hanno iniziato a trasformarsi in agricoltori. Sono fra i popoli più antichie sono fra gli ultimi gruppi etnici a utilizzare la suddivisione in classi sociali detta gadaa.

I Borana oggi sono circa 75.000, divisi in un centinaio di clan. Sono migrati a sud dall'Etiopia in seguito alla pressione esercitata nel nord dalle popolazioni cristiane. Sono suddivisi in due grandi gruppi: i Beiretuna, musulmani presenti nella zona di Isiolo e semi-sedentari, e i Borana veri e propri, animisti nomadi che si spostano con le loro mandrie nelle zone di Marsabit, Garba Tula, Modo Gashi, e delle paludi di Lorian.
A causa della tradizione musulmana (un tempo tutti i Borana avevano aderito a questa religione, in seguito rinnegata da alcuni clan) usano ancora costruire le loro case con la porta rivolta verso la Mecca. Gli animisti credono in un unico dio chiaramente derivato dalla figura di Allah, chiamato Waka.

Sono famosi nella zona per aver scavato profondi pozzi nella terra per raggiungere l'acqua.
Per portarla in superficie e permettere agli animali di abbeverarsi, si passano grandi secchi da un gradino all'altro scandendo ritmicamente il tempo con canti tradizionali.
All'esterno i pozzi non si vedono, ma si sente il canto che si spande nell'aria, da cui il nome di pozzi cantanti.

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vvtyise@tin.it
molto bello!
salvo031
quanto vorrei fare anche io un'esperienza così bella e profonda
WilliamDPS
avevo gia scritto, ma dopo aver visto anche le ultime devo ripetermi
gran bel viaggio e bellissime immagini

ciao william
tankredi
bravo....
bel viaggio e belle immagini...
...continua....

una curiosità come si comporta il 70-200 duplicato per la caccia fotografica?
Lady O

Ciao Stidy, ho visto ora che hai aggiunto altre foto...

un ottimo racconto di viaggio dove gli scatti mostrano tutti gli aspetti di questa esperienza.

Forse la fotografia non riesce a rende completamente la particolarità del lago nero, ma l'esperienza dei pozzi cantanti penso sia stata molto suggestiva.
Alcuni primipiani sono strepitosi, penso all'"anziano El Molo" e ad alcune donne, ma mi piacciono molto anche le foto che rappresentano la vita quotidiana del luogo.

Bello, molto bello.

ciao

Ornella
Stidy
Grazie a tutti per il passaggio e i vostri commenti.

@Tankredi
Devo essere sincero, la scelta del 70-200 duplicato con il TC20 III è stata fatta per vendere l'80-400.
Avrei così mantenuto praticamente la stessa qualità con la stessa apertura massima (più o meno).
Ma non mi fa impazzire del tutto proprio nello sfocato.
Secondo me l'80-400 seppur meno blasonato del 70-200 rendeva meglio.

@Lady O
Ciao Ornella, purtroppo la foto spesso non rende a dovere la vastità dei paesaggi (o magari non riesco io a renderla in modo appropriato).
I pozzi cantanti sono un'esperienza molto suggestiva come dici tu, anche se ormai anche tutti questi luoghi stanno vivendo a stretto contatto col turismo che, se da una parte porta un briciolo di ricchezza alle comunità locali, dall'altra rischia di snaturare la genuinità dei popoli.
Questa genuinità si riesce spesso a ritrovare invece lungo la strada, nei piccoli paesi, facendo la spesa nei mercati locali dove raramente si addentra il turista, ai distributori di benzia o dal meccanico per riparare un pezzo della vettura o ancora dormendo nei piccoli alberghi frequentati esclusivamente dai locali (anche se chiamarli alberghi è un po' azzardato).

Sto cercando di ridurre un po' le immagini che adesso sono troppo pesanti e appena finito continuerò il racconto.

Grazie ancora
Stefano
eutelsat
Bel reportage e belle immagini, complimenti Pollice.gif



Gianni
Stidy
La strada che corre verso nord è asfaltata, ma lunga, dritta e monotona.
Ai lati, per chilometri, svettano dai campi imponenti formicai, ora bianchi ora rossi a seconda della composizione del terreno.
Questa strada è l'arteria principale che dal Kenia arriva ad Adis Abeba.
A Yabello (dove passeremo la notte accampati nel giardino di un hotel, tappa fissa per molti viaggiatori) parte la sterrata che porta ad Arba Minch, presso il lago Chamo.
Sempre a Yabello ritorneremo dopo 7 giorni, terminato il nostro giro etiope che ha il suo culmine nel parco Mago e sulle rive del fiume Omo.

Ad Arba Minch ci dedichiamo alla visita del lago a bordo di piccole imbarcazioni, per incontrare coccodrilli, ippopotami e qualche altro animale.

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Ragazzini giocano a ping pong ai bordi delle strada ei Arba Minch:
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Da Arba Minch è inoltre possibile salire per una tortuosa pista fino ai villaggi Dorze, un'etnia locale che vive a quote oltre i 2000 metri.
I Dorze sono l'etnia più settentrionale delle etnie osmotiche (della valle dell'Omo).
Negli anni sono riusciti a modellare i fianchi ripidi della montagna creando grandi terrazzamenti.
Le loro capanne sono veramente uniche: possono arrivare a superare i 10 metri di altezza con i loro tetti di forma conica che presentano una protuberanza sulla porta d’ingresso, simile ad un grande naso. Sono prive di finestre e la loro struttura portante è realizzata in bambù, mentre la copertura è in foglie intrecciate di “ensente”, il cosiddetto falso banano.

Gli uomini sono bravi agricoltori ed eccellenti tessitori: i loro prodotti sono tra i più apprezzati dell’intera Etiopia. Tessono utilizzando il telaio mediante le dita dei piedi, che muovono dall’alto verso il basso, in modo preciso e veloce.

Ogni abitazione è delimitata da una recinzione in bambù intrecciata con le foglie del falso banano in cui vi è un giardino, molto curato, con fiori, piante ornamentali e i rigogliosi alberi di ensente. All’interno delle capanne i letti sono rialzati, rispetto al terreno, di circa un metro e mezzo, in modo da sfruttare al massimo lo spazio sottostante. Di lato c’è il granaio, la cucina, la stalla con gli animali (riscaldano con la loro presenza l’ambiente, sostituendo i nostri “termosifoni”).
La foglia del falso banano viene anche lavorata, sfibrandola mediante lo sfregamento su una tavola di legno con al centro un inserto rigido in bambù, per produrre una sorta di pane.
Una volta raccolta la polpa su una foglia, la si pone all’interno di una buca praticata nel terreno e la si ricopre con altre foglie dello stesso banano. La fermentazione avverrà nel corso di trenta giorni. Terminata questa fase, l’impasto viene tagliato a fettine per sbriciolarlo completamente ed impastarlo di nuovo a mano aggiungendo acqua. Viene infine spianato e posto sulle foglie di ensente che vengono messe sulla piastra a diretto contatto con il fuoco. Basta girarlo per farlo cuocere da entrambi i lati ed il pane vegetale “kotcho” è pronto. Viene mangiato abbinandolo ad una salsa piccantissima di nome “datta” od al miele.
Confermo che è molto buono.

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Una donna prepara l'impasto di foglie di falso banano per cucinare il pane
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Un'altra donna sta cuocendo il pane:
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Il viaggio ci porta a dormire a Konso, villaggio che prende il nome dall'omonima etnia. Qui è possibile avere dal re il permesso di piantare le tende nel suo giardino, di fianco al suo villaggio/reggia; un bel prato circondato da alti alberi che sorge sopraelevato rispetto al villaggio e... al suo regno.
Il re è una persona famosa e ci mostra con orgoglio le foto in compagnia del principe Ranieri di Monaco, ci fa visitare il suo "palazzo e ci spiega come si svolge la vita dei Dorze, soprattutto i rituali di successione, mostrandoci le tombe degli antenati (patrimonio dell'UNESCO).
In onore dei loro defunti, i Konso, ereggono totem in legno dal nome “waqa”, che possono raggiungere anche un metro e mezzo di altezza e risalire a ben 150 anni fa. Purtroppo molti degli esemplari più antichi sono stati razziati da commercianti senza scrupoli che li hanno rivenduti a collezionisti facoltosi.
Spesso raffigurano guerrieri nudi che impugnano lancia e scudo. Gli occhi e i denti sono bianchi, dato che utilizzano gusci di uova di struzzo. Ramoscelli, fiori e foglie verdi posti sul waqa, augurano un sereno cammino nell’aldilà al trapassato.

Bambini presso il villaggio Konso
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Ci spostiamo verso ovest e lungo la strada per Turmi incontriamo alcune ragazze:
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Il buffo copricapo è una zucca svuotata e tagliata a metà. Serve per ripararsi dal sole e come scodella per bere
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E sempre lungo la strada facciamo la conoscenza del popolo Erbore.
Questo è un popolo fiero che non supera i 4.000 individui.
Nel loro territorio l’acqua, elemento prezioso per le colture, abbonda e riescono a coltivare mais e sorgo in quantità rilevanti, barattando parte del raccolto con caffè, bestiame e tabacco.
Il villaggio è piccolo e le capanne, tutte realizzate solamente con l’utilizzo delle canne, sono disposte in semicerchio intorno al “nab” (così si chiama la parte centrale del villaggio) e sono rivolte con l’apertura verso il luogo di provenienza del clan originario di ogni singola famiglia.
Le donne hanno il seno scoperto e dal collo scendono a grappoli numerose collane multicolori (realizzate con i materiali più disparati: metallo, legno, perline, crine di giraffa, avorio), che coprono parzialmente il petto. Indossano uno scialle, a volte colorato altre volte nero, che dal capo copre le spalle ed una gonna in pelle su cui applicano piccoli anelli di metallo e le conchiglie cipree. Sono molto belle, alte e con un portamento fiero e deciso, a volte quasi di sfida. Le loro braccia sono letteralmente coperte da bracciali di metallo, di osso o di ottone che prendono il nome di “eet”. Le ragazze nubili indossano delle vistose cavigliere per distinguersi dalle donne sposate. Tutte hanno alle orecchie degli originali orecchini in metallo a forma di spirale. Nelle dita portano diversi anelli in rame.
Sembra che questa etnia provenga da lontane terre orientali. Quasi certamente il loro è sangue misto, dato che la loro discendenza si fa risalire a quella dei popoli che anticamente abitavano la Valle dell’Omo e gli altopiani di Konso.
I bambini maschi si dipingono il viso con l’argilla bianca nel periodo che precede la cerimonia della circoncisione e nella fase immediatamente successiva.
Le bambine, invece, adoperano l’argilla come se fosse un trucco per mettere in risalto gli occhi e spesso si coprono il capo con le zucche svuotate per ripararsi dal sole.

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Continua.....
Maury_75
Mi sono "goduto" questa serie di immagini molto belle e curate che raccontano davvero molto bene il tuo viaggio, alcune eccellenti! Un pò di sana invidia per il bel giro che hai fatto e tanti complimenti per i ricordi fotografici che ti sei portato a casa!
Saluti Maury
vvtyise@tin.it
ottimi scatti!
macromicro
Racconto coinvolgente con il supporto di foto che rafforzano il fascino della narrazione. Hai fatto qualche scatto al 're' ?
Stidy
Grazie Maury, si tanti ricordi fotografici ma soprattutto umani, di contatto con popoli che neanche ci immaginiamo. Un'esperienza davvero unica.

Grazie vvtyise del passaggio e del tuo commento.

Macromicro... si, questo è il "re" del Konso:
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Stidy
Il Re ha studiato e si è laureato in ingegneria, tiene molto al suo popolo ed è cordiale ma riservato.

Questa foto, del nostro gruppo in sua compagnia, accanto al palo che ogni erede deve piantare nel momento in cui subentra al trono, l'ho subito stampata e gliel'ho regalata.
Dire che era estasiato è dir poco.
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La foto è stata fatta con una Coolpix P7000 che porto dietro come macchina d'emergenza e da usare in situazioni dove non voglio tirar fuori la D700 col cannone.... per essere quindi più discreto.
Da anni inoltre porto con me una stampante Selphy portatile a sublimazione che va a batterie.
E' uno strumento eccellente per rompere il ghiaccio e superare timidezza e diffidenza con i bambini ma anche gli adulti.
Inutile dire che dopo un po' si crea la coda.
Stidy
E arriviamo a Turmi, un importante centro abitato crocevia per molte etnie e nostro punto di appoggio per prendere contatto con Hamer. Mursi e Dassenech.

Questo è il territorio Hamer.


Questo popolo è fondamentalmente agricoltore e si dedica alla coltivazione di sorgo, grano, orzo, frumento, luppolo, miglio, tabacco, cotone ed ortaggi, ma si occupano anche di allevare mucche, buoi, capre e galline.
Il miele, che raccolgono due volte l’anno, è un alimento fondamentale nella loro dieta.
Gli Hamer sono famosi per le loro acconciature particolari: le donne spalmano sulle loro minuscole treccine di colore rame (chiamate Goscha) una mistura di burro, polvere di ferro, resina ed argilla rossa in segno di prosperità e benessere.
Gli uomini, se di recente hanno ucciso un animale pericoloso od un nemico, per mostrare a tutti il loro valore, si modellano sulla testa dei copricapi di argilla colorata e decorata sormontati da splendide piume di struzzo. Per non rovinare durante il sonno questa fragile acconciatura, utilizzano per dormire uno speciale poggiatesta, ricavato dal legno del Zehon Abeba (molto leggero e resistente) dal nome Borkota. Lo stringono nella mano, mediante un laccio in pelle fissato alle due estremità, durante l’intera giornata e lo considerano alla stregua di una loro appendice e serve inoltre come sgabello per sedersi.

Gli Hamer sono considerati maestri nella decorazione del corpo. Qualsiasi ornamento ha un particolare significato simbolico: il numero degli orecchini indossati dagli uomini, ad esempio, corrisponde al numero delle loro mogli. Le donne indossano pelli impreziosite dalle conchiglie cipree (provenienti dal lontanissimo Mar Rosso) e da perline colorate, bracciali in ferro e rame, collane di perline. Le ragazze nubili portano nei capelli un disco di metallo (dovrebbe ricordare come forma il becco di un ornitorinco), mentre le donne fidanzate indossano delle pesanti e strette collane di ferro incise con motivi geometrici, dal nome “ensente”. Le donne sposate, infine, stringono intorno al loro collo anche un pesante collare di pelle intrecciata con inserti in metallo, dalla caratteristica forma vagamente fallica.
Da qualche anno, grazie ad un commercio senza scrupoli col vicino Sudan, hanno fatto la loro comparsa gli AK47 (comunemente noti come Kalasnikov).
Oggi molti uomini, ma anche donne portano sulla spalla questo fucile a ripetizione (dicono per proteggere le greggi da eventuali razzie). Un altro ornamento fondamentale quindi diventano anche le cartuccere legate in vita.
Devo dire che i lineamenti di questo popolo sono bellissimi, sia nelle donne che negli uomini.

Bambini Hamer
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Ragazze Hamer
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Donna Hamer
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Bambino Hamer
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Stidy
Una cerimonia molto famosa degli Hamer è il "Salto del Toro", il rito di passaggio dei maschi all'età adulta.
Non sempre si riesce a partecipare come spettatori, ma con un lungo giro di contatti siamo riusciti a sapere che in un villaggio a circa 40 km da noi si sarebbe tenuto questo rituale in un piccolo villaggio Benna (molto simili agli Hamer).
Tengo a precisare che 40 km su queste piste vuol dire circa 1 ora e mezza di percorrenza.

Si tratta di una cerimonia lunghissima, che dura quasi tutta la giornata e si conclude dopo 2 giorni con balli, canti e.... ubriacatura generale.
Cercherò si spiegarla in modo sintetico:

Come detto si tratta di un rito di iniziazione lungo e complesso.

In uno spiazzo libero dai recinti degli animali e dalle capanne, alcune donne iniziano a muoversi in circolo, una dietro l’altra, suonando con un flauto e alcune trombette in metallo. Alle gambe portano dei campanelli in metallo (di nome “warawara”) che si stringono ai polpacci con alcune cinghiette in pelle di capra, emettendo piacevoli suoni ad ogni passo. In tal modo richiamano l’attenzione di tutti i componenti del villaggio ed anche dei villaggi circostanti, per gli imminenti festeggiamenti.
All’interno di un recinto un uomo anziano, insieme ad un bambino completamente nudo, mungono con sapienza le vacche riempiendo le zucche che sono state donate al ragazzo, che oggi affronterà la prova del salto dei tori.
Nei giorni che hanno preceduto la cerimonia, il giovane Hamer aveva inviato a tutti coloro che avrebbero partecipato alla festa un filo d’erba secca annodato con un numero di nodi corrispondenti ai giorni che mancavano alla prova. Ogni invitato avrebbe sciolto i nodi sino al giorno della celebrazione.
Da un altro lato del villaggio, dentro un enorme fusto di metallo sta bollendo l’acqua, a cui avrebbero aggiunto la farina di sorgo ed altri cereali (grano, orzo, frumento e luppolo) per realizzare il “bordé”, una birra artigianale che bevono soprattutto durante i festeggiamenti.
Molti, sia uomini che donne, non hanno gli incisivi inferiori: intorno ai 15 anni la “cagica bulé”, una specie di dentista del villaggio, pratica l’estrazione oltre che per fini estetici, anche per evitare le complicanze del tetano.
L’abbigliamento delle donne  è composto da tre diversi indumenti in pelle: il “kasci” (la parte anteriore sfilabile dal collo che lascia scoperta la schiena), il “schikiniè” (la parte frontale della gonna) e il “pallanti” (la parte posteriore della gonna). Sono tutti impreziositi dalle piccole conchiglie cipree, chiamate “chibò”. Sulle loro braccia e sulle caviglie sfoggiano con orgoglio grossi bracciali in ottone o nichel di nome “gau”.
Gli uomini utilizzano un gonnellino colorato in tessuto che si stringono in vita mediante il “kalascì” (la famosa cartuccera il cui nome richiama quello del fucile), a volte sormontato da una casacca. Tutti fanno bella mostra di numerosi bracciali ed orecchini, oltre a scarificazioni sul corpo che possono consistere in semplici segni decorativi o simboli distintivi del loro valore e coraggio.
Le cicatrici, per gli Hamer (come per gran parte delle popolazioni della Bassa Valle dell’Omo), sono motivo di orgoglio e testimoniano fedeltà, forza, coraggio, valore; spesso sono i segni di un’avvenuta iniziazione.
Le scarificazioni presenti sul ventre e sulle braccia delle donne sono invece semplici decorazioni a fini estetici.
Le cicatrici che invece hanno sulla schiena, e di cui vanno molto fiere, si chiamano sono i segni tangibili della devozione e dell’affetto verso il ragazzo che dovrà passare dall’adolescenza all’età adulta attraverso il superamento della prova del salto dei tori.
Le danze delle donne continuano sino al momento del pranzo: sotto un grande albero si siedono in circolo passandosi a turno la zucca colma del “bordè” (la birra) e mangiando con le mani da una ciotola comune.
Dopo questo frugale pasto gli uomini si allontanano per disporsi in uno spiazzo dove, seduti sui loro sgabelli in legno, si disegnano il corpo con argilla bianca, sistemandosi piume di struzzo nei capelli unti in precedenza con burro ed argilla.
Intanto il ragazzo, seguito da tutti gli altri componenti del villaggio, si avvia verso il luogo sacro. Qui avrà inizio la vera e propria cerimonia che si aprirà con il rito della fustigazione, invocata a gran voce dalle parenti di ragazzo.
I Maz (giovani che faranno da padrini alla cerimonia) si distribuiscono alcune fascine, tagliate da un albero particolare che non dovrebbe causare infezioni alle ferite, preparandosi tra suoni di trombe, danze, polvere e sudore.
Cresce esponenzialmente l'eccitazione e il fermento.
Le donne vicine alla famiglia del candidato si fanno spalmare dalle più anziane del burro sulla schiena, sulle spalle e sulle braccia: servirà ad attutire i colpi delle verghe sulla loro pelle.
Tra un frastuono di suoni, voci, battiti di mani, incitamenti ed un sole rovente, le donne chiedono con insistenza di essere frustate, mentre ballano e saltano di fronte ai Maz, tenendo alzato il braccio destro. E se loro non fossero disposti a farlo, li strattonano, li inseguono, li scherniscono per convirceli a frustarle.
La schiena, le spalle, le braccia e talvolta anche il seno, mostrano profonde ferite sanguinanti che si trasformeranno in cicatrici perenni: saranno considerate un segno di devozione e di attaccamento al loro parente, il “naala” (cioè il giovane) che, superata la prova, diventerà “daala” (adulto) e potrà fidanzarsi e sposarsi. Inoltre, con queste cicatrici, le donne vanteranno un “credito” nei confronti del futuro Maz: lui dovrà badare alle loro necessità in caso di difficoltà, dovrà difenderle in caso di pericolo, dovrà proteggerle, sempre.

Agli occhi di noi occidentali questo rito della fustigazione può apparire arcaico, cruento, senza alcun fondamento logico: ma occorre riflettere sul fatto che il nostro modo di pensare e di vivere è lontanissimo dalla loro cultura e dalle loro tradizioni. Al contrario, secondo me, dovremmo accettare di buon grado l’importanza ed il profondo significato che rivestono queste pratiche nella loro esistenza, evitando di esprimere giudizi avventati o scandalizzati. Per loro queste usanze sono passaggi fondamentali nella loro stessa vita perchè garantiscono l’equilibrio sociale dell’intera comunità. Questi riti donano, al soggetto che vi si sottopone, una nuova identità sociale e personale. Significa per loro scalare la struttura sociale del villaggio, in modo da appropriarsi di un prestigio che prima non possedevano.
Terminate le fustigazioni, ripetute più e più volte, le donne tornano a danzare e girare in tondo tra i suoni acuti delle trombette ed il tintinnio dei campanelli.
Gli uomini si appartano, sedendosi sotto alcuni alberi, per praticare un rito propiziatorio: il ragazzo passa loro un piccolo bastone di legno intagliato con la punta arrotondata (un chiaro simbolo fallico), che i Maz stringono tra un fascio di rami, mentre gli anziani vi poggiano sopra quattro bracciali di metallo. Dietro ordine degli stessi anziani, i Maz sollevano di scatto verso l’alto i rami lasciando cadere in terra i bracciali. Gesto ripetuto per quattro volte, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, in modo che la buona fortuna segua il “naala” ovunque.
A questo punto alcuni ”padrini” scelgono tra i buoi, separandoli dalla mandria, quelli più adatti alla cerimonia e li immobilizzano, prendendoli dalle corna e dalla coda. I prescelti, in numero di sette, vengono messi in fila uno accanto all’altro ed anche se a fatica cercano di tenerli fermi ed allineati.
Le donne aumentano il ritmo delle danze e dei salti, accompagnate dai suoni di tromba sempre più acuti.

Ci siamo quasi, il “naala” (il giovane), completamente nudo e con una sottile corda vegetale incrociata attorno al petto (simbolo dell’infanzia che sta abbandonando), è pronto per cimentarsi nella prova.
I Maz danno il segnale per far partire il ragazzo che, dopo una breve rincorsa, salta sul primo bue e, in equilibrio precario, balza sul dorso degli altri animali, sostenuto e sorretto dai padrini che lo incitano, sino a completare la prova, che ripeterà per quattro volte consecutive.
Al termine della cerimonia, tra la gioia degli amici e dei parenti, tutti i partecipanti escono dallo spiazzo per rientrare al villaggio. Qui i festeggiamenti continueranno per due giorni e due notti.

Il ragazzo ormai adulto avrà a disposizione trenta giorni per trovare moglie: girerà nel suo villaggio e nei villaggi vicini indossando, di lato al gonnellino, il simbolo fallico in legno chiamato (segno distintivo di colui che abbia superato la prova del salto dei tori), mostrando a tutti il suo nuovo status di “daala”, cioè di adulto.

Anziana suona una trombetta per richiamare l'atenzione
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Donna Benna
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Ci si passa e si beve la "birra" artigianale
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Donna Benna
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Donna benna con la trombetta/richiamo
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Donna benna
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Sonagli appesi ai polpacci
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Ragazze Benna durante la cerimonia
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Uomini armati di Kalasnikov
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Chi ancora non ha il fucile si arrangia come può
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Copricapo tipico maschile
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Uomo
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I segni lasciati dalle frustate degli uomini
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Uomo
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Ragazza
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Uomini danzano freneticamente poco prima del salto del toro
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Il ragazzo è pronto e sta per compiere il rito di passaggio del "Salto del toro"
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Il momento clou!
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fedebobo
Non capisco perché ho perso questo reportage fino ad oggi.
Devo farti i miei più sinceri complimenti: è uno splendido reportage con dei singoli scatti veramente superlativi!

Grazie della condivisione
Roberto
macromicro
Affascinante cercare di capire le culture e il modo di vivere altrui senza i pregiudizi nostri
jxmauro
... mi ero fermato alle prime !,

complimenti per tutte le belle foto, alcune veramente super

complimenti e grazie per il racconto, anche se lo avrei limitato al solo completamento delle immagini

e complimenti per il viaggio.
vvtyise@tin.it
bello ed interessante, notevole la serie ultima di ritratti.
Davo84
Wow biggrin.gif
Bellissime foto, ma avrei un po paura a puntare la D700 ad 4 tipi armati di kalashnikov!
Stidy
Grazie a te Roberto del passaggio e del tuo commento.

@Macromicro:
In effetti è la parte più difficile di un viaggio del genere.
Molto spesso il contatto con culture tanto differenti genera in taluni "occidentali" un rapporto distaccato, che non va oltre la superficie e talvolta può arrivare all'orrore nell'assistere a rituali particolarmente cruenti.
Mi viene in mente per esempio la lotta cui si dedicano gli uomini Mursi o Surma (il "Donga") che si svolge a colpi di bastone e l'unico limite invalicabile è la morte.
Va da se che nonostante alcune protezioni che portano, spesso scorre il sangue.

A mio avviso bisogna però cercare di capire il mondo in cui ci si trova, spogliandosi con umiltà da ogni pregiudizio e cercando, per quanto possibile, di entrare in sintonia con l'ambiente circostante.
L'esperienza che ne deriva è molto più forte ed è possibile comprendere (o cercare di comprendere) il perché di certe situazioni e il loro profondo significato.
Insomma, in parole povere, una mente aperta aiuta molto.

Provo a fare un esempio:
Una delle prime cose che colpisce fin dall'inizio è il forte odore emanato dai corpi di questi popoli.
Se su un primo momento la sensazione è sgradevole (parlo per me stesso), dopo diversi giorni l'olfatto si comincia ad abituare e ho cominciato a percepirlo come odore emanato dall'uomo in quanto "animale uomo", mammifero, selvatico, trovandolo talvolta stimolante.
Noi siamo ormai abituati a coprire ed eliminare il nostro odore con diversi prodotti, ma evidentemente nella nostra memoria storica è rimasta traccia del nostro essere animali ed ecco perché a volte i sensi vengono risvegliati non appena incontrano qualcosa che li riporta all'origine.

@Jxmauro
Ciao, grazie del commento.
In effetti sono stato in alcuni momenti un po' prolisso, ma ho ritenuto importante scendere più in dettaglio nella spiegazione per permettere non solo una declinazione spazio temporale dell'immagine, ma per aiutare, soprattutto, a comprendere il contesto in cui è stata scattata.

@vvtyise
Grazie per il passaggio e il commento.

Davo84
Ciao e grazie per il commento.
In effetti a parte l'apparenza non ci sono problemi a far foto a queste tribù armate di tutto punto.
In realtà, nonostante si tratti sempre di situazioni reali e non costruite apposta per i turisti, per entrare nei villaggi e poter fare foto occorre pagare.
Qui si apre un dibattito al quale sono riuscito da dare una mia visione:
E' corretto pagare per fare una foto al tal bambino o al talaltro uomo?
Questo fatto di mercificare il volto sminuisce la naturalità del rapporto con questa tribù?

Io sono arrivato a questa conclusione:
Se entro dal tabaccaio e compro una cartolina che raffigura una tipica donna tirolese nel suo vestito tipico... la pago.
Se voglio la collanina o gli orecchini fatti dalle donne Hamer... li pago.
Di fatto questi popoli, per altro poverissimi, mettono in vendita la loro immagine e non lo trovo svilente e ne il rapporto tra me e loro viene modificato.
Stiamo parlando di 2 Bir (moneta etiope) che equivale al cambio attuale a "ben" 0,09 euro.

Tornando a noi...
Da Turmi, ci siamo spostati nel parco Mago (verso Nord) per incontrare i Mursi, l'etnia più particolare di tutto il viaggio.

I Mursi sono valorosi e feroci guerrieri ed è obbligatorio essere scortati da un ranger armato (a me è sembrata gente tranquilla come gli altri). In questi villaggi è consigliato di entrare solo in mattina ed è una precauzione che sembra avere una sua logica: gli uomini, purtroppo, sin dal mattino bevono una birra “artigianale” derivata dalla fermentazione del sorgo (un cereale che si coltiva in tutta Etiopia) che fa sì che, molto di frequente, divengano aggressivi, litigiosi, insomma pericolosi. Considerando che ognuno di loro possiede un’arma automatica come gli Hamer conviene stare alle regole.

Per i Mursi il combattimento e la lotta costituiscono la forma più alta di prestigio e di rispetto: la forza, nella sua dimensione più violenta, è considerata l’espressione massima di valore e di potenza.
Il Thagine, ad esempio, è il combattimento con lunghi bastoni (prendono il nome di Donga), la cui punta arrotondata ricorda il simbolo fallico. E’ una feroce arte marziale dove l’unico limite da non oltrepassare è quello della morte, per il resto qualsiasi colpo è ammesso ed il sangue, di conseguenza, scorre a fiumi. A volte alcune cicatrici sui corpi dei lottatori rimarranno per la loro intera vita.
Colui che vince verrà portato in trionfo dai componenti del villaggio, sarà rispettato da tutti ed ammirato dalle donne.
Si stima che la popolazione dei Mursi ammonti a circa 10.000 individui, quasi tutti dediti alla pastorizia. Sono semi nomadi e si spostano, a seconda delle stagioni, tra la Pianura di Tama ed i monti Mursi, all’interno del Parco Nazionale del Mago. Coltivano sorgo, granoturco, fagioli e ceci. Si dedicano alla caccia con estrema abilità. Sono divisi in 18 clan e parlano una lingua cosiddetta Surmica.
Le loro donne sono famose per l’utilizzo del piatto labiale, che spesso inseriscono anche nel lobo delle orecchie. Questi dischi di argilla, decorati con disegni geometrici e colorati con sostanze naturali, arrivano a misurare anche 16 centimetri di diametro.
Le ragazze, sin da giovanissime, praticano un’incisione (in genere) nel labbro inferiore, assistite dalle donne più anziane, inserendo prima cilindri in legno di diverse dimensioni (dai più piccoli ai più grandi), per poi giungere ad indossare il piatto in terracotta, dotato di una scanalatura lungo il bordo esterno.
Le donne, a causa della scomodità nell’indossarli, li inseriscono solo quando sono in presenza degli uomini o per particolari ricorrenze. Di solito lasciano pendere tranquillamente il labbro inciso, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
L’asportazione degli incisivi è comune a tutte le donne Mursi (questa pratica è presente anche in altre etnie, in diversi paesi dell’Africa) ed è adottata, oltre che per facilitare l’introduzione del piatto, anche per consentire l’alimentazione forzata nei casi, spesso comuni, di complicazioni derivate dall’aver contratto il tetano.
Secondo alcuni antropologi questa consuetudine sembra che sia nata nel periodo della tratta degli schiavi, proprio per scoraggiare questi crudeli mercanti dal rapire e deportare le donne che, in tal modo, ai loro occhi apparivano deformi e di conseguenza venivano scartate. Altri credono che questo fosse un rimedio per impedire al male di penetrare nel corpo attraverso la bocca. Altri ancora considerano il piatto labiale quale segno distintivo di ricchezza e prestigio per la donna che lo indossa: maggiore è il suo diametro, più numerosi saranno i capi di bestiame richiesti dalla famiglia per concederla in sposa al pretendente. La teoria più credibile sembra considerare il piatto labiale un incontrovertibile simbolo di identità tribale, una sorta di “iniziazione” della donna Mursi che dalla pubertà passa alla fertilità ed alla maturità.
Oggi l’indossare il piatto è sinonimo di bellezza: più è grande, più la donna è affascinante e corteggiata.
Molte donne Mursi, come quasi tutte le donne appartenenti alle diverse tribù della Bassa Valle dell’Omo, ed anche gli uomini, praticano la scarificazione del corpo per apparire più attraenti: consiste nel taglio sottopelle ed è una pratica dolorosa e non priva di rischi, viste le condizioni igieniche non certo ideali. Si disegnano prima sul corpo, con un legnetto intriso di gesso ed acqua, i punti dove effettuare i tagli con la lametta, poi si alza la pelle nel punto contrassegnato con un rametto spinoso e si incide. Si cosparge la ferita con cenere ed acqua o polveri derivate dalla macinazione di radici particolari. Le cicatrici che si formeranno quando il taglio si sarà rimarginato, daranno vita ad un tatuaggio a rilievo di particolare effetto.
Sempre le donne di questa etnia amano adornarsi il capo ed il viso con acconciature stravaganti: zanne di facocero o di altri animali uccisi, gusci di lumache, zucche, piume, bacche colorate, conchiglie di fiume, monili di metallo intrecciati con pelli di animali. Hanno il seno scoperto e indossano gonne di pelle ornate con cipree (conchiglie che, sino a pochi decenni fa, erano considerate moneta di scambio) o perline colorate.

I giovani guerrieri Mursi, dopo aver superato le prove di iniziazione, si fanno scarificare il caratteristico tatuaggio a forma di rondine sull’avambraccio.
Spesso anche gli uomini si adornano il capo con grandi orecchini di metallo e zanne di animali, oltre che con piume.

Donne Mursi
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macromicro
Apprezzo sempre più la completezza del tuo reportage. Due domandine: come hai fatto a comunicare con queste etnie così diverse? A che età formano una famiglia?
Stidy
Ciao Macromicro,
intanto grazie per i tuoi commenti.

Dunque... all'ingresso in Etiopia si è unita a noi una guida (richiesta dall'Italia) che aveva il compito di espletare le necessarie formalità e farci da interprete proprio in quelle zone dove l'inglese è ignoto, ma soprattutto era in grado di trattare con i vari capi villaggio per trovare la migliore soluzione possibile.
Inoltre avevamo chiesto di non seguire (per quanto possibile) le logiche turistiche, ma andare alla ricerca dei villaggi meno contaminati e quindi più genuini.
E' grazie a lui che siamo riusciti a trovare un villaggio dove si celebrava il rituale del salto del toro.

Per quanto riguarda l'età alla quale questi popoli cominciano a formare una famiglia beh... non è facile rispondere. perché spesso l'età delle persone è indefinibile, ma posso dirti che nel momento che una ragazza diventa fertile e un ragazzo è in grado di avere un rapporto sessuale... tutto è possibile.
Sto parlando comunque di accordi presi tra la famiglia della ragazza e quella del ragazzo (in certi casi).
Prendi per esempio il ragazzino del salto del toro, poco più che un bambino (ai miei occhi)... l'iter evolutivo, una volta superata la prova è già segnato, girerà il suo villaggio e quelli limitrofi alla ricerca della compagna (la prima, dato che la poligamia è molto diffusa).

Posso dire che secondo me la costruzione della famiglia può avvenire intorno ai 14 anni per le ragazze e qualche anno in più per i ragazzi... dipende poi molto da altri fattori, quali per esempio lo status delle due famiglie.
Comunque è un dato che può variare molto.

A presto
Stefano
Cesare44
complimenti, fotograficamente molto documentato e ben narrato con dei ritratti strepitosi.

ciao
macromicro
Mi interessano molto le varie abitudini di vita. Grazie per le spiegazioni/informazioni molto dettagliate.
Le ragazze/donne partecipano al mantenimento dell'unione o il tutto è a carico del 'marito' ?
Veramente affascinante/interessante poter entrare in contatto con le etnie ancora non contaminate dal turismo per poter rendersi conto dei differenti modi di vita. Non so se lo hai già precisato: quanti gg. è durato il tuo viaggio/avventura?
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