Vi ringrazio molto, davvero, per gli apprezzamenti. È vero che posto poco. A fronte d'una certa "bulimia" -nell'inserimento di foto- io rischio l'anoressia.

Queste foto stavano lì da qualche mese. Attendevo il completamento della nave, ma al momento non posso seguire l'ultima fase...
Comunque sono un po' critico e dubbioso nei confronti delle mie foto, e ho bisogno di scavare di più nel mio modo di fare fotografia...
QUOTE(twinsouls @ Aug 17 2006, 10:55 AM)
Ecco, gli intervalli fra queste note fotografiche, già di per sé splendide... sono perfetti. Nè troppo, né troppo poco. Giusti. Permettono di seguire il racconto senza che rimangano "buchi" e senza che si formino ridondanze. Hanno un ritmo calibrato, "senti" il trascorrere del tempo eppure non c'è attesa né fretta, c'è il tempo che ci deve essere, indipendente dal ritmo degli avvenimenti narrati, è il ritmo del racconto. O almeno così lo sento io.
Davide, non sai quanto mi fanno piacere le tue osservazioni! In questo periodo sto meditando gl'intervalli in architettura, e puoi capire quanto mi sorprenda che tu colga qualcosa d'analogo in questo lavoro. Se l'hai avvertito forse in parte son riuscito a trasferirlo -non so come, tuttavia...
QUOTE(davidegraphicart @ Aug 17 2006, 05:17 PM)

I porti, cantieri navali, e altre cose simili, sono posti che mi hanno sempre affascinato... non so perchè, ma evidentemente non sono l'unico a pensarla così... Immagino siano state fatte al porto di Ravenna...
Sì lo scenario è quello ravennate, e il cantiere è nel mezzo di quella skyline di gru della prima foto... Proprio lì...
Anch'io mi sono chiesto qual è la ragione per cui m'affascina il luogo del porto. Credo d'aver capito.
Il porto m'intriga perché è il residuo fossile d'una idea dell'uomo che ha plasmato prima il Mediterraneo e quindi l'Europa: l'epicentro degl'incontri, degli scambi, delle avventure. L'epicentro dell'
aperto: il porto è anzitutto il punto di partenza verso l'immensa spaziosità dei mari, verso l'imponderabile. Il porto implica sempre una sfida, una scommessa, e al contempo impone umiltà. È il luogo in cui il nomade, non più raccoglitore o pastore, si fa pescatore -per continuare la raccolta. Si fa mercante per continuare a viaggiare, a cercare paesi, uomini, civiltà diverse.
Nel nostro mondo, governato dalla pianificazione e dall'omologazione, dominato dalla velocità, il porto è obsoleto come il mare su cui si apre. I viaggiatori sono diventati turisti, il viaggio non è più un'esperienza ma una
vacanza, cioè una semplice
assenza, uno svago di qualche giorno. Il mare è occasione per spalmarsi creme protettive. Non c'è più nulla da
esplorare. Il porto è "morto" come il mare verso cui si protende. È morto nell'immaginario dell'uomo, ovviamente. Non gli parla più, non gl'ispira epopee come l'Odissea o Moby dick -l'ultima, grandiosa, una sorta di sigillo definitivo sull'avventura sui mari...
E con il porto, fossile d'un'antica idea dell'uomo, del tempo (quando viaggiare implicava tempo, tempo!) e dello spazio, m'affascinano anche le barche, perché sono "individui". Le navi, a differenza delle auto e degli aerei, contrassegnati ormai da cifre e sigle, continuano ad avere un nome, addirittura vengono benedette, cioè consacrate e battezzate. Ed è un rito che non è venuto meno, e che nessuno mancherebbe di fare..