Chiedo venia se inizio il “Life” con una citazione. La frase è di Laszlo de Almasy, il conte ungherese – reso famoso soprattutto dal film “Il Paziente Inglese” – che può essere considerato come uno degli ultimi, veri esploratori dell’Africa, avendo a cavallo degli anni Trenta battuto a fondo i meandri più remoti e reconditi del Sahara Libico-Egiziano.
L’ho voluta inserire perché la considero una delle più belle frasi mai scritte sul deserto, nella quale mi ritrovo appieno, se avessi tentato di parafrasarla sarei scivolato probabilmente nel banale o nello scontato.
Ma l’Africa e i suoi deserti non sono il tema di questo “Life”, sono solo l’ambiente, il palcoscenico che vede protagonisti quelli che quotidianamente ci vivono, che lottano ogni giorno in un ambiente ostile, ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante e spirituale.
Viaggio in Africa da vent’anni, per lavoro e per piacere, e in oltre trenta viaggi ho conosciuto molte persone, gente semplice o importante, bambini o anziani, e queste persone, pur nella brevità e nella superficialità degli incontri, hanno lasciato un’impronta forte dentro di me, mi hanno aperto gli occhi su tante cose, mi hanno aiutato ad apprezzare le piccole cose della vita, spesso le più importanti, a vivere con maggiore serenità la quotidianità, anche le difficoltà. Come spero aiutino a crescere mio figlio, che da quando ha quattro anni (ora ne ha dodici) mi accompagna nelle “scorribande” africane.
Ecco, l’Africa non è l’Africa, il deserto non è il deserto se si tolgono le persone da quel contesto. Conosco troppi “viaggiatori” impegnati a scavalcare mille dune, evitando il più possibile il contatto con la gente: dell’Africa hanno capito poco o nulla.
Il piccolo contributo di questo “Life” vuole in primo luogo cercare di far conoscere gli Africani, aiutando a sfatare i luoghi comuni di cui ormai ci siamo infarciti la mente. La paura del diverso, questo ci propinano i nostri Media quotidianamente. Alzi la mano chi non pensi immediatamente al terrorismo, incontrando un arabo in metropolitana! L’immagine distorta e a senso unico che ci viene offerta ogni giorno ha fatto distanziare ulteriormente le rispettive culture. Non so, non voglio pensare che si tratti di un grande disegno precostituito, ma la storia è piena di esempi di questo tipo, alimentare la paura per tenere tutti buoni e ottenere consenso… l’America insegna…
Salvo poi dimenticarsi dell’Africa quando la cronaca non interessa né petrolio né terrorismo: Darfour, chi ne sente più parlare? Africa dimenticata, sfruttata, ignorata, depredata, c’è di che vergognarsi dei nostri “splendidi” concetti di democrazia, solidarietà, supremazia economica e culturale.
La mia piccola esperienza so che è un granello di sabbia nello sconfinato deserto della menzogna mediatica, ma se farà riflettere almeno una persona avrò raggiunto il mio umile obiettivo.
Ne ho conosciute molte di persone in questi anni, chissà, azzardo la cifra di un migliaio. Quelle “sgradevoli” le conto sulle dita di una mano. Dalla Siria all’Egitto, dalla Libia alla Tunisia, dalla Namibia al Madagascar ho sempre incontrato gente disponibile, disinteressata, amichevole e ospitale.
Qualità che vanno ben oltre a quelle cui siamo abituati: ci sogneremmo mai di ospitare in casa nostra un africano incontrato mezz’ora prima? In Africa accade, anzi, spesso è normale.
Concludo con una riflessione: non limitiamoci a quello che ci fanno vedere alla televisione, non giudichiamo popoli, razze, persone solo da quello che vediamo per le nostre strade, nelle nostre città. Cerchiamo di documentarci di più da fonti indipendenti e, se possibile, cerchiamo di toccare con mano queste realtà, viaggiamo da viaggiatori, non da turisti.
Buona visione.
Edo
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