Sulle prime le mie intenzioni erano semplicemente quello di riprendere le graziose finestre delle case della Rocca, una ricerca geometrico formale che comprendesse il cielo. Ma quelle finestre le ho sentite immediatamente come occhi puntati su di me.
La sindrome dell'intruso, a volte ti senti estraneo a casa tua, non sai bene che ruolo hai, a quale gioco stai giocando, il fragile alibi rischia di crollare, sei davvero venuto fin qui per fare solo fotografie? Alcune finestre hanno ancora i resti delle imposte di legno ormai ingrigito dalle piogge, da qui qualcuno si affacciava per guardare la strada.
E da quest'altra finestra spunta una data, Anno Domini 1603, il fascino delle cose antiche e la leggerezza del turista disimpegnato. Ecco che mi sento ancora osservato, seguito, scrutato. Il dubbio rimane: sei sicuro che qualcuno ti stia guardando, oppure è una tua vaga speranza quella di lasciare un segno visibile nel mondo in tutto quello che fai?
La mente rischia di perdersi in pensieri senza né capo né coda, ed eccolo lì, infatti un bel labirinto scolpito sulla pietra. Il centro lo hanno tracciato ben visibile, come in ogni labirinto che si rispetti, non importa come tu faccia a trovare la strada, l'importante è sapere che c'è un obiettivo da raggiungere.
Sento imperioso un richiamo all'ordine, riesco a mandar via tutti i pensieri molesti e a concentrarmi sulle preziose geometrie, in fondo non c'è niente di più bello di un vecchio muro sovrastato da un pezzo di cielo azzuro, non c'è niente altro da dire.
Pensavo di aver finito, quattro fotografie da mostrare agli amici e niente più, ma ecco che dalla finestra del mio cervello si affaccia il ricordo di una canzone: il cielo in una stanza. Ma qui è il cielo che si affaccia da una finestra, questo vuol dire che dietro di esso non ci sono più pareti, né pavimenti, non è la fantasia di un cantante, questa è la realtà vera.
Tutto sembra così tranquillo, il sole così caldo, non pensi alle tragedie dei terremoti, la gente che fugge, che muore schiacciata dalle proprie mura, il rombo sordo dei crolli, l'oscurità minacciosa che rischia di seppellirti per sempre. Oggi è una giornata come le altre, non è mai successo niente.
Difficile stabilire il confine tra il tuo essere testimone o semplice curioso, la migliore cosa che puoi fare è andare avanti, fermarti a pensare è un lusso che non ti puoi concedere. Decido di essere testimone, pazienza se non sarò l'unico, non ho questa presunzione, io volevo solo giocare tra un vecchio muro e il cielo.
Ma non puoi fare a meno di pensare che da queste finestre oggi non si affaccerà più nessuno, e semmai qualcuno avesse l'ardire di porre un riparo al disastro, di rianimare questo deserto di vecchi muri, non sarebbe più la stessa gente di allora.
Lo vedo, lo vedo! Ecco finalmente una traccia di vita, un affresco che parla da un vecchio muro, incustodito, silenzioso e con ancora negli occhi un ultimo barlume di solennità.
Sembra prendersi gioco di me come a dire “guardalo bene quel cielo in una stanza e non lo dimenticare mai”. Mi accorgo solo ora che non ho fatto altro che fotografare finestre in modo quasi ripetitivo, ossessivo. Non lo dimenticherò facilmente, sono contento perché ho fissato un ricordo.
Mi guardo ancora attorno alla ricerca di altri messaggi muti, ho visto il cielo in tante stanze, e non mi rimane altro che l'ultima immagine, due piccioni che amoreggiano sul davanzale di una finestra illuminata da sole, non saranno loro a chiudere quell'imposta di legno grigio che ancora cigola sui cardini arrugginiti. Rocca Calascio, Abruzzo.