tutto dipende da cosa si deve ottenere in definitiva:
file da stampare in tipografia
file da stampare su carta chimica
per le stampanti ink jet, il discorso è uguale alla carta chimica, perchè è si vero che stampano chi in quadricromia e chi a più colori fino all'eptacromia, ma è anche vero che le stampanto hanno un tipo di stampa scomposto dall'rgb.
Riporto questo pensiero che forse può aiutare:
QUOTE |
il metodo utilizzato NON mi trova d'accordo per seri problemi di base. Lo spazio colore di stampa è molto lontano e "peggiore" ma soprattutto diverso di quello di un monitor RGB calibrato. A parte ciò non tiene in considerazione tutte le variabili di stampa! Il profilo di stampa "caricato" con quale carta è stato eseguito, con quale calibrazione, a quale temperatura, con quali condizioni chimiche dei bagni con quale intensità laser o led... Le condizioni di stampa ritrovate dopo giorni o mesi sono poi paragonabili al profilo che resta matematicamente fisso nel computer ?
Non mi stupisce dunque leggere che i problemi non sono finiti perchè il modo di operare semmai riuscisse a dare determinati risultati in certe situazioni, in altre cambierebbero in forma "inspiegabile" oltre che inaccettabile.
Non stravolgiamo le severe regole di gestione colore nate per fortuna in aiuto ma se pensiamo di fare meglio dei luminari di gestione colore allora forse qualcosa non torna.
Il laboratorio dovrebbe utilizzare un sistema di gestione colore in grado di adeguare gli spazi colore noti (quelli descritti matematicamente in forma oggettiva e differenti proprio per le diverse finalità e tecnologie di stampa) alle caratteristiche della macchina da stampa. Il laboratorio dovrebbe in pratica consegnare una stampa di una scala colori accettabile sia da uno spazio colore sRGB, sia da un Adobe RGB 1998. I colori creati matematicamente da Photoshop sono oggettivi e non soggettivi.
Chi lavora professionalmente per la stampa tipografica mica imposta il profilo di stampa CMYK sul monitor. Gestisce la separazione calibrata da una visione RGB aiutandosi con l'esperienza e quando non alta, con gli strumenti di avvertimento gamma.
Il fotografo quindi dovrebbe decidere in quale spazio colore di lavoro operare (valutandone le caratteristiche, potenzialità e limiti) ed utilizzare il profilo monitor per correggere le differenze fisiche di quel monitor e non per aggiungere le differenze di stampa. Le differenze di stampa vanno gestite dal motore di gestione colore della macchina da stampa analogamente a quelle monitor.
Senza rispettare quanto sopra esposto ci si trova in vicolo cieco senza uscita.
Con quanto esposto, non intendo entrare in "polemica" con i laboratori ma solamente dissociarmi da una gestione colore "provinciale" e non standardizzata. Con i metodi di gestione colore ufficiali potrà mandare una stampa a diversi laboratori e trovare accettabile coerenza se gli stessi gesticono il colore come da me descritto (ma soprattutto se la macchina da stampa è tarata per le innumerevoli variazioni fisiche, climatiche, specifiche carta e legate anche ai chimici). Se prova a mandare a diversi laboratori i file trattati come da Lei descritto ci si troverà di fronte ad improponibili ed incontrollabili livelli qualitivi.
Giuseppe Maio www.nital.it
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