c'e' chi fai i ritratti con il 14mm ... chi con il 300 mm
ma l'obiettivo principe e' considerato l'85 ...
alla fine è il risultato che conta e le sensazioni che trasmette una foto
quanto al reportage, riporto le sacre parole scritte nel 1952 da un mio amico nel suo libro "il momento decisivo"

E' un tipo in gamba e che andrebbe letto oltre che guardato

IL REPORTAGE FOTOGRAFICO
Ma che cos'è in realtà un reportage fotografico? A volte una singola fotografia è in sé talmente ricca di forza e di significati, da divenire una storia intera, ma questo capita raramente. I vari elementi che insieme illuminano un soggetto, sono spesso dispersi in termini di spazio o tempo e rimetterli insieme con la forza, è un'azione di "regia" e di (rode. Ma se è possibile fare delle fotografie sia del nucleo che dei vari elementi significativi del soggetto, questo è un reportage fotografico. La pagina serve a riunire gli elementi complementari che sono dispersi in molte fotografie.
Il reportage implica un'azione congiunta del cervello, dell'occhio e del cuore. L'obiettivo di questa operazione complessa è ritrarre il contenuto di alcuni eventi che sono in fase di svolgimento e quindi comunicarne le impressioni; talvolta un singolo avvenimento può essere così ricco e sfaccettato, che diventa necessario muovercisi intorno, nella ricerca della soluzione al problema che pone, giacché il mondo è in movimento e non si può rimanere statici di fronte alla dinamicità dei fenomeni. Talvolta si centra il punto in pochi secondi, altre volte invece il procedimento richiede ore o giorni. Comunque sia, non esiste un piano standard, nessuno schema di lavoro. Occorre stare sempre all'erta con il cervello, l'occhio e il cuore e avere agilità nel corpo. Le cose così come sono, offrono una tale abbondanza di materiale, che il fotografo deve trattenersi dalla tentazione di provare a fare tutto. È essenziale tagliare dal materiale grezzo della vita: tagliare e tagliare, ma con attenzione. Durante ogni istante di lavoro, il fotografo deve raggiungere una precisa coscienza di quello che sta cercando di fare. Talvolta si ha la sensazione di avere già scattato l'istantanea più significativa di una particolare situazione o scena, non di meno ci si trova a scattare impulsivamente, poiché non si può sapere in anticipo con esattezza come la situzione o la scena si svolgerà. Bisogna vivere in simbiosi con la scena, proprio per essere pronti nel caso in cui gli elementi della situazione dovessero di nuovo scaturire dal nucleo dell'azione. Contemporaneamente è essenziale evitare di usare la macchina fotofrafica come una mitragliatrice e di appesantirsi con immagini inutili che confondono la nostra memoria e appannano la coerenza del reportage.
La memoria è molto importante, particolarmente rispetto al lavoro di scelta di ciascuna fotografia scattata galoppando alla stessa velocità dell'azione in svolgimento. Il fotografo deve essere sicuro, mentre è in presenza della scena che si sta dispiegando, di non aver perso alcun passaggio, di aver realmente espresso il significato unitario della scena. Dopo sarebbe troppo tardi. Il fotografo non può far retrocedere gli avvenimenti, per fotografarli di nuovo.
I fotografi si trovano sempre di fronte a un'alternativa e qualsiasi soluzione induce necessariamente a dei rimpianti. Esiste la scelta che facciamo quando inquadriamo il soggetto, e quella che facciamo dopo aver sviluppato e stampato la pellicola. Dopo lo sviluppo e la stampa, dovete occuparvi di fare una scelta tra le immagini, mettendo da parte quelle che, sebbene corrette, non sono le più incisive. Vi accorgerete allora, quando è troppo tardi, con terribile chiarezza, dove avete fallito. A questo punto, ricorderete il sentimento rivelatore che avevate provato mentre stavate fotografando. Era un momento di esitazione dovuto all'incertezza? Era causato da una separazione fisica tra voi e l'evento? Era semplicemente il fatto che voi non consideravate un certo dettaglio in relazione all'insieme? O (e questo è più frequente), il vostro sguardo era distratto, i vostri occhi erano disattenti?
Per ognuno di noi Io spazio parte dal nostro stesso occhio e degrada progressivamente verso l'infinito: lo spazio al momento attuale ci colpisce con minore o maggiore intensità e poi ci lascia, visualmente, per rinchiudersi nella nostra memoria e per modificarvisi. Di tutti i mezzi espressivi , la fotografia è la sola che fissi per sempre, proprio l'istante transitorio. Noi fotografi trattiamo soggetti che svaniscono continuamente, e quando sono scomparsi, non sono più disponibili, e non esiste mezzo al mondo di farli rivivere. Non possiamo stampare e sviluppare la memoria. Lo scrittore ha tempo di riflettere: egli può accettare e respingere, accettare ancora e, prima di affidare il suo pensiero al foglio, è in grado di leggere insieme gli elementi più rilevanti. C'è anche un periodo di stasi, quando il suo cervello dimentica, mentre il suo subcosciente lavora, classificando i pensieri. Per i fotografi, invece, ciò che è andato, è andato per sempre. Da questo fatto, nasce l'ansia e la forza della nostra professione. Non possiamo rifare la storia, una volta tornati all'albergo: il nostro compito è di percepire la realtà, e, quasi simultaneamente, registrarla, in quel notes che è la nostra macchina fotografica. Noi non dobbiamo, né manipolare la realtà, mentre stiamo fotografando, né manipolare i risultati nella camera oscura. Questi trucchi, sono facilmente individuabili per chi sa vedere.
Facendo un reportage fotografico, dobbiamo tener conto dei punti e dei rounds, come un arbitro di box. In ogni reportage fotografico che cerchiamo di fare, siamo obbligati ad arrivare come degli intrusi. È necessario, tuttavia, avvicinarsi al soggetto in punta di piedi, anche se si tratta di una natura morta. Una mano di velluto, un occhio di falco, questi requisiti che tutti devono avere: non serve farsi avanti a gomitate. E neppure fotografare con l'aiuto di qualche riflettore, se non altro per rispetto della luce naturale, anche quando di luce non ce n'è. Se un fotografo non osserva queste condizioni, può diventare intollerabile ed aggressivo.
La professione dipende a tal punto dalle relazioni che il fotografo stabilisce con la gente che fotografa, che un rapporto falso, una parola o un atteggiamento sbagliato, possono rovinare tutto.
Quando il soggetto si trova per qualsiasi ragione a disagio, la personalità scompare dove la macchina fotografica non può raggiungerla. Non ci sono regole fisse, perché ogni caso è a sé e richiede discrezione, anche se noi dobbiamo essere sempre a portata di mano. Le reazioni della gente differiscono molto da paese a paese, e da un gruppo sociale all'altro. In tutto l'Oriente per esempio, un fotografo impaziente, o che ha semplicemente fretta, è soggetto al ridicolo. Se vi siete fatti notare, anche solo tirando fuori l'esposimetro, la sola cosa da fare è dimenticare per il momento di fotografare, adattarsi, e permettere ai bambini che si precipitano da voi di aggrapparsi alle vostre ginocchia, come dei cuccioli.