Ripartiamo da dove eravamo rimasti: su una buccia di banana. La forzata e artata semplificazione di concetti non immediatamente percepibili, a volte, conduce ad errori. Il calcolo che avevo suggerito per spiegare un principio basilare conduce ad implicazioni errate sugli alti valori di segnale, perché mancante di un passaggio.
Se avete voglia di seguirmi e vi interessa l’argomento, ripartiamo da una visuale diversa.
Chi non abbia ben chiara la differenza tra analogico e digitale troverà una breve spiegazione nell'allegato che ho accluso .
Possiamo definire la Gamma Dinamica come il rapporto tra il massimo segnale registrabile (alte luci) ed il minimo segnale registrabile (ombre profonde). Poiché gli elettroni non si possono dividere in unità più piccole, quest’ultimo è considerato sempre pari ad 1. Un sensore costituito da pixel con FWC di 40000 elettroni restituisce, in questo modo, una gamma potenziale di 40000/1= 92 decibel. Sono, però, solo discorsi teorici, perché, nella realtà, siamo costretti a tenere conto del rumore del segnale (photon shot noise nella terminologia inglese).
Nel nostro esempio, la gamma reale restituita dal pixel (quindi, per esteso, dal sensore) crolla a 40000:200= 46 decibel. Attenzione che, rispetto a quella teorica, non è dimezzata: è di parecchi ordini di grandezza inferiore, a causa del procedimento che comporta calcoli logaritmici.
Questo dato non deve preoccuparvi: il nostro esempio porta ad una definizione di 200 toni di grigio e l’occhio umano non riesce a distinguerne più di 60-80, mentre i monitor non ne risolvono più di 100-120. Queste considerazioni ci fanno capire perché il formato Jpeg è peggiorativo per la restituzione della risoluzione spaziale, ma non per la restituzione del colore. I suoi 8 bit, che comportano 256 valori, definiscono abbondantemente i 200 toni della gamma del segnale. Ciò per pixel di grandezza fino 8-9 micrometri di lato: oltre questi valori il Jpeg comincia a perdere qualcosa anche nella restituzione della gamma dinamica. Ricordiamoci, però, che visivamente non ce ne accorgeremo: quindi è inutile iniziare “guerre di religione” verso questo formato
In ogni fotocamera CCD e CMOS, però, il segnale non viene trasferito indisturbato a causa del rumore di lettura obbligato, possiamo trarre spunto dalla definizione che la Nikon stessa dà, ridefinendo la Gamma Dinamica come il rapporto tra il massimo segnale registrabile ed il rumore di lettura della camera. Il rapporto, quindi, diventa: FWC/readout noise. Nel nostro esempio, ipotizzando un realistico rumore di lettura di 10 elettroni/pixel, otterremmo un rapporto S/N (o gamma dinamica) di 40000/10= 72 db, abbondantemente al di sopra della gamma dinamica resa dal sensore.
Ogni convertitore al mondo restituisce un suo errore, detto di quantizzazione (o quantificazione, forse meglio nella nostra lingua), che è calcolabile dividendo il passo per 3,46 (questo divisore è dettato da leggi statistiche). Utilizzando sempre il nostro esempio, questo errore sarebbe pari, per un ADC a 10 bit, a: (40000/1024)/3,46 = 39/3,46 = 11,3 elettroni, valore superiore al readout noise. Non è accettabile: dove possiamo intervenire? La FWC non possiamo cambiarla, tantomeno il divisore. Ci resta il passo, che possiamo ridurre aumentando i bit del ADC. Se utilizzassimo un ADC a 12 bit otterremmo: (40000/4096)/3,46=2,8 elettroni, più di 3 volte inferiore al readout noise. Questo valore è accettabile. Ecco il perché della scelta di un ADC a 10, 12, 14,16 bit. Le Case calcolano il readout noise della camera e, in base a questo e alla FWC del pixel, calcolano la risoluzione ottimale in bit del ADC. E non porta a nulla la seguente conclusione: allora perché non usare ADC a 16, 24, 32…bit? La risposta è semplice: più alto il numero di bit, più lenta la velocità di codifica, più alto il consumo energetico, più pesante il file immagine. In medio stat virtus.
E che succede alla gamma dinamica del sensore, più bassa rispetto a quella dell’elettronica? Semplicemente si “spalma”: i 200 toni di grigio del nostro esempio, risolti dal sensore, si spalmano sui 4000 della gamma dinamica del circuito. Non pensate di trovare nel file in uscita 20 valori uguali per ognuno dei 200 grigi: saranno in ogni caso tutti lievemente diversi , perché interviene la variabilità statistica del segnale e l’errore di decodifica.
Ecco il senso di quanto affermato nel post precedente: la perdita virtuale di bit di risoluzione del ADC. Una gamma dinamica di 46 decibel può essere processata da un ADC a 72 db, ma non si può creare ciò che non esiste. 46 db entrano, 46 db escono (relativamente al nostro esempio).
Passiamo sul piano pratico e vediamo di tirare qualche conclusione, utile ai fini pratici.
1- a parità di bontà di progetto circuitale, la gamma dinamica è legata alle dimensioni del pixel: pixel minore = gamma minore. Le dimensioni del sensore non contano, se non per qualche piccola variabile che possiamo trascurare. E’ il motivo per cui le compatte, superpopolate da piccoli pixel, non possono reggere il confronto con i sensori delle reflex.
2- Non fidarsi dell’occhio, almeno fino a che la conoscenza con la propria fotocamera si sia approfondita. Valutate i valori di bianco, con i soliti programmi in vostro possesso o con l’istogramma sul display della macchina: il bianco deve saturare il pixel al 70-80 %. Valori inferiori significano luce insufficiente: aumentare l’esposizione. Valori troppo alti, 90-100% significano probabile perdita di alti toni: ridurre l’esposizione. Chi comanda è il bianco: insufficienti valori di bianco significano riduzione della gamma dinamica (è come se riducessimo la FWC) e rumore nelle basse luci. E’ una regola obbligata: non si può chiedere alla macchina l’impossibile. Per vostra curiosità, anche in astrofotografia si controlla il bianco: su stelle di cui si conoscono perfettamente le caratteristiche dello spettro luminoso, riportate nelle tavole astrofotometriche.
3- Un altro fattore peggiorativo dell’immagine è la non uniformità di risposta al segnale luce. I pixel sono tutti un po’ diversi tra loro in fatto di risposta alla luce. Il firmware ne tiene conto, ma deve fare di ogni erba un fascio. Imparate voi stessi ad applicare la funzione Dust Off delle Nikon anche se avete il sensore più pulito al mondo. Questa funzione ha un nome che trae un po’ in inganno, perché non serve solo ad eliminare dall’immagine l’effetto della polvere (dust) presente sul sensore: elimina, di fatto, le disuniformità di risposta dei pixel regalandovi superfici omogenee con colori di tonalità uniforme. Ne potremo riparlare.
4- Spingere gli ISO provoca obbligatoriamente rumore: io mi meraviglio di ciò che riescono a fare i firmware delle grandi Case al proposito. Infatti, un’altra formula che quantifica il readout noise è quella che lo definisce come: (guadagno dell’amplificatore * deviazione standard di immagini-differenza di bias-frames) / radice quadrata di 2. Lasciamo perdere i paroloni e guardiamo ciò che è veramente la chiave di tutto: se raddoppiamo l’amplificazione (ISO 1 valore più alto), il readout noise raddoppia, la gamma dinamica dimezza. Il firmware può solo tentare di correggere qualcosa che non può evitare. Se non avete particolari necessità pratiche o creative, lasciate perdere le regolazioni degli ISO.
5- Ove non sia necessario, evitiamo le 100 pose al secondo….la raffica non può restituire una qualità di immagine pari alle pose singole: peggiora il readout noise in tutte le sue componenti, il ADC scende di precisione, i pixel del sensore non riescono a “svuotarsi” completamente tra una posa e la successiva.
6- In situazioni di luce critica, con soggetti statici, usate la possibilità delle pose multiple (ogni 4 pose il rumore dimezza, su 9 pose il rumore si riduce di 3 volte…) Purtroppo non è utilizzabile per tutto ciò che sia in movimento. Non fatevi venire l’idea di utilizzare la stessa posa per nove volte, perché in questo caso il rumore salirebbe di pari passo.
7- All'inizio di ogni sessione è bene eseguire un paio di pose in piena luce e scartarle: serve a ripulire i pixel e tutta l'elettronica di contorno da elettroni spuri.
Ho enunciato i principi base del rumore, nelle sue principali manifestazioni: molto resta da dire, ma diventerebbe un discorso per puri addetti ai lavori o superappassionati all’argomento.
In molti mi hanno chiesto ove poter approfondire l’argomento. Suggerirei:
Il libro di Maio, che conosciamo tutti.
Christian Buil, CCD Astronomy, Wilkmann-Bell Inc, ISBN 0-943396-29-8
(Molto tecnico nella parte iniziale. Comporta un po’ di conoscenza di elettronica e infarinatura di chimica. La parte dedicata all’astronomia occupa solo la seconda metà del libro e, in ogni caso, fornisce implicazioni interessanti anche per la fotografia tradizionale)
Martinez-Clotz, A practical Guide to CCD, Cambridge University Press, ISBN 0-521590-63-9.
Facile e limitato all’essenziale.
Purtroppo sono in lingua inglese, anche se scientifico, quindi semplice, e non ne esiste traduzione italiana: facilmente reperibili alla libreria Hoepli, Milano (www.hoepli.it) o sui circuiti internet.
Un saluto a tutti
Enzo Franchini